28 - Aion

Il giorno in cui Krueger se ne andò da questo mondo era domenica, Verdiana al mattino passò nel laboratorio di Sara, vicino a piazza Vittorio, proprio nello stesso momento in cui Krueger stava parlando con Minah in san Filippo.
Sara era una ragazza dall'aspetto fragile e dalle idee forti, con l'anima fecondata d'acqua, profondamente immersa nella conoscenza; ma lei non sembrava accorgersene, anche se l'attrazione verso le gemme glielo avrebbe dovuto dimostrare; quell'attrazione l'aveva spinta ad aprire un laboratorio di gioielleria con una vetrina su via Carlo Alberto.
Verdiana la frequentava;a volte per un consiglio, altre per una acquisto. Le pietre lavorate da lei avevano qualcosa in più, il gusto della dedizione che aveva loro profuso.
Sara aveva rispetto per questa donna elegante e di poche parole; appena la vide entrare con l'astuccio della collana le fu chiaro: bisogna modificarla, aggiungerle o toglierle qualcosa.
La prima volta che ci aveva lavorato Verdiana le aveva commissionato un semplice pendaglio, un piccolo contenitore di vetro riempibile con un liquido di cui avrebbe assunto il colore; Sara confezionò una collana dalle maglie d'argento inframmezzate da gemme di Malachite, la pietra della trasformazione, larga abbastanza da arrivare sul petto, al termine della quale aveva inserito qualche centimetro della stessa maglia d'argento e, infine, il piccolo ciondolo di vetro.
Non era più alto di un centimetro, aveva la forma di un'anfora o di un cuore e terminava a punta; in testa aveva un piccolo tappo a vite metallico con un gancetto che lo assicurava alla collana.
Spesso Verdiana aveva notato lo sguardo di Krueger sul suo petto, ma non pensava affatto che si fosse soffermato sul dettaglio del piccolo gioiello di vetro.
La seconda volta, Verdiana le chiese di aggiungere un altro contenitore in vetro tra quello precedente e il girocollo; questa nuova parte era costituita da un contenitore cilindrico in vetro con due estremità avvitabili d'argento, entrambe con un gancetto. Quando gliela riconsegnò, a partire dal girocollo si dipartiva qualche centimetro di maglia d'argento, quindi la fialetta cilindrica, dopo ancora il contenitore a forma di anfora affusolata.
Sara non aveva altre clienti con desideri così particolari e ne era in qualche modo conquistata. Quando ricevette la collana per l'inserimento della fialetta si incuriosì vide che la piccola anfora era colorata di un bel rosso scuro.
La terza volta che Verdiana chiese una modifica aumentava in Sara la curiosità di rivedere la collana; la passò tra le mani dalle dita lunghe ed esili e vide che la fialetta aveva un colore biancastro.
L'insieme costituiva un gioiello armonico; la larghezza della fiala cilindrica era all'incirca la stessa dell'anfora, circa sei o sette millimetri, una in fila all'altra rappresentavano una unità dall'indubbio gusto raffinato. Ciò che disturbava un poco Sara era invece il collegamento tra il girocollo e il pendaglio; un incrocio troppo netto, troppo differente dalle armonie del pendaglio.
Fu proprio per questo che si rallegrò della richiesta di Verdiana, per quanto inconsueta, perchè riguardava proprio quell'incrocio, quella T costituita dal pendaglio che si dipartiva dal girocollo.
Verdiana chiese se fosse possibile avere una piccola coppa d'argento con tre gancetti: due ai lati per agganciarsi al girocollo, unosotto per agganciare il pendaglio. La coppa avrebbe dovuto avere le stesse dimensioni della fialetta e dell'anfora.
Quando Verdiana vide il risultato ne fu contenta; soprattutto le piacque vedere negli occhi di Sara l'orgoglio per aver costruito un gioiello unico, dall'indubbio fascino. La coppa, la fiala e l'anfora, nei colori argento, bianco e rosso si susseguivano rincorrendosiper forme e colori; una volta indossata, la coppa rimaneva sul petto, aperta verso l'alto, ed il pendaglio bianco e rosso le seguivano come se ne fossero una conseguenza, come se il liquido introdotto nella coppa potesse, attraverso le maglie d'argento, raggiungere e fecondare quello nei contenitori sottostanti.
Sara chiese di poter fare una foto alla collana, prima di riconsegnarla; Verdiana acconsentì volentieri.
Quindi uscì dal negozio di Sara e, lungo via Po, tornò verso casa; in piazza Castello proprio per un puro caso non incrociò Krueger che, uscito da San Filippo, tornava verso l'istituto.

Un preside estremente euforico lo attendeva per decidere quali preghiere particolari inserire nella messa che si sarebbe celebrata tra poche ore; entrando vide don John Chiodi che lo salutò allegramente e lo invitò a partecipare alla scelta delle preghiere. Il preside cercava di inserire in esse tutte quelle parole che avrebbero dato lustro all'immagine della scuola e della congregazione, le presentava e recitava ad alta voce, dilungandosi in commenti e spiegazioni.
Krueger si sentiva oggettivamente in difficoltà; la mente era attraversata da due ordini di pensieri.
Innanzitutto non poteva celebrare la messa; non era mai stato ordinato sacerdote. Quando celebrava la messa in istituto lo faceva da solo, nelle piccola cappella, recitando le formule del rito che da sempre lo aveva affascinato.
Rito basato sull'ultima cena di Cristo, sulla consacrazione del pane e del vino che si trasformano nel corpo di Dio; Krueger era affascinato dagli aspetti dottrinali che aveva più volte studiato. Il concetto stesso di transustanziazione, di passaggio di una sostanza in un'altra lo affascinava tant'era vicina ai riti alchemici: ci sono cose che cambiano cose, e cose che cambiano le persone. Sapeva di bestemmiare accostando il rito della messa all opus alchemica; sapeva anche di non essere il primo ad averlo pensato, e che non riconosceva nessuna autorità in grado di imporgli un giudizio morale su quel pensiero.
Ma cosa diversa era celebrare la messa in pubblico; poteva anche passare sopra al fatto che la Chiesa ne vietasse la possibilità, ma non poteva passare sopra al fatto di illudere i fedeli. Lui aveva certo la libertà di pensarla in qualsiasi modo, ma doveva rispettare la loro fede così come dettata da Santa Romana Chiesa. Cristo aveva investito gli apostoli della celebrazione del rito; da essi l'investitura è passata alla chiesa come vescovi e presbiteri, quelli che in genere vengono chiamati sacerdoti; nessun laico può celebrare una messa.
In secondo luogo gli sembrava impossibile che il preside Guerini fingesse così. Lo conosceva bene, sapeva che l'entusiasmo che stava profondendo nei discorsi era genuino. E pensò che forse era davanti ad un caso di sdoppiamento della personalità; aveva letto qualcosa in proposito e sapeva che quando l'uomo si lascia andare alle proprie passioni può manifestarsi un livello di coscienza normalmente sopito. Forse quando si lasciava andare a diventare la sissy maid dei suoi sogni era in uno stato non cosciente, ed il delitto era stato commesso in quel modo. Ma cosa c'entravano i marmi con tutto questo? Cosa la faccenda di Ingrid? Cosa Gaspardo de La Cacia? Non riusciva a venirne a capo, fissava gli alberi dalle finestre, su Corso Palestro, e chiedeva risposte allo stormire delle fronde.

"Ehi, hai ucciso il gusano?"
Fu John Chiodi a riportarlo alla realtà con quella domanda.
"Eh? Cosa?"
"In Messico quando vedi qualcuno con lo sguardo fisso come il tuo, perso nel vuoto, gli si chiede se ha ucciso il gusano, cioè il verme nel Mezcal lasciandolo senza liquido e mangiandoselo, quel verme che ti ho detto che può avere effetti allucinogeni e afrodisiaci anche potenti sulle persone."
Poi, sorridendo e abbassando la voce per non farsi sentire da Guerini che continuava a declamare orazioni:
"Te ne avevo lasciato uno... te lo sei mangiato?"
"Ma no figurati! Mangiare il verme! Sei pazzo?"
Però rimase interdetto; in effetti non ricordava che fine avesse fatto la bottiglietta che gli aveva lasciato, ed il pensiero andò anche alle bottiglie da cui sorseggiavano qualche bicchierino lui e Verdiana; ricordava il verme al fondo che dava quella forte impressione di trasgressione e di animalità, ma non ne ricordava l'aspetto una volta terminato il liquore.
"Senti John... tu sai tutto di me. Non posso celebrare."
John assunse un'aria molto seria, eccessivamente seria, dal che si capiva che stesse fingendo e disse:
"Ho io la soluzione, non preoccuparti" e gli si aprì un sorriso in viso.
Aspettò che il preside facesse una pausa e quindi fece una proposta:
"Preside, vista l'importanza di questa celebrazione ed il numero di persone coinvolte, secondo lei sarebbe possibile concelebrare? Ci terrei molto a poter testimoniare anch'io la gioia di questa comunità nel ristabilirne l'onore."
Krueger si illuminò e prese la palla al balzo: "Mi farebbe molto piacere, soprattutto se guidassi il rito di consacrazione."
Il preside, se possibile, aumentò ancora il suo entusiasmo:
"E' una bellissima idea, una concelebrazione darà più peso all'evento. Anzi, ci sarò anch'io a concelebrare; la visibilità della nostra congregazione sarà al massimo."
Discussero ancora qualche particolare ed uscendo un Krueger visibilmente sollevato abbracciò con enfasi don John Chiodi; i due sacerdoti, ed il falso prete, si avviarono verso il Duomo per la celebrazione.

Vista l'importanzae la solennità della celebrazione indossarono i paramenti in sacrestia, uscirono all'esterno per rientrare dal portone del Duomo; li precedevano i turiboli dell'incenso, li seguivano tutti i confratelli della comunità.
Entrando dal portone, in mezzo ai canti del coro, l'incenso gli ricordò il fumo del sacrificio, quel sacrificio umano e divino che stava andando a rappresentare, e ne fu sopraffatto dall'importanza; avrebbe voluto essere più sereno, più lucido, ma troppi pensieri gli impedivano di trovare quella tranquillità della mente così indispensabile per sentire il respiro del sacro.
Pensò alla legge dell'elastico; se stava così male, sicuramente ci sarebbe stato presto un periodo migliore.
Pensò anche che questo non fosse il giusto atteggiamento; se stava ammortizzando una fase negativa questo frenarla non le avrebbe fatto avere effetto e quindi le cose potevano andare ancora peggio di così.
Non sapeva come fosse possibile, come le cose potessero andare peggio.
"No adesso no." pensò Krueger entrando. Non era quello il tempo adatto perchè succedesse; e invece proprio in quel momento la visione tornò nitida.
In mezzo al Duomo, tra i banchi, si elevava la solea, quella pedana di legno che innalzava il clero dal popolo nei secoli passati; lui camminava alto tra i fedeli mentre le canne dell'organo diffondevano melodie solenni.
Percepiva le due realtà distintamente; quella odierna in cui indossava i paramenti liturgici e camminava preceduto dai turiboli e con al fiancoGuerini e Chiodi, e quella antica in cui vestito di un mantello regale procedeva sul legno rialzato della Solea con a fianco la donna dagli occhi nocciola.
Nella distanza dal fondo della chiesa all'altare più volte aguzzò la vista per distinguere dai particolari quale fosse il momento che stesse vivendo; l'unica risposta fu l'assenza di tempo, la contemporaneità degli eventi. Riuscì a trovarsi lucidissimo come osservatore esterno in grado di percepire nettamente le due realtà separate e l'unità infinitamente grande che le univa: lui stesso, tutto ciò che sentiva aveva l'immutabile unità di essere sè stesso.
Arrivati all'altare i sacerdoti si sistemarono sugli scranni; mentre i canti dell'introitus procedevano, Krueger si vedeva esattamente nell'altra realtà sotto la cupola del Duomo a compiere il rito con la donna; l'incrocio delle sinistre, la raccolta del fiore, l'incrocio degli steli, la sparizione delle vesti si ripetevano nella sua mente più e più volte fino a fissarsi in modo indelebile, ogni volta ripetendosi più nitide, ogni volta arrivando fino a quella che era stata l'apparizione della piccola gemma blu nel suo pugno, quella che nelle visioni precedenti si librava nell'aria.
"Dominus Vobiscum" pensò Krueger in latino e pronunciò "il Signore sia con voi!" dando inizio alla celebrazione.
Seguì Guerini che introdusse la messa del giorno, indicando la gioia della celebrazione per la congregazione e per la loro comunità, introducento il canto seguente.

A Krueger non servì la parte logica della mente per riconoscere la sagoma della persona che stava entrando dal portale, fu laparte istintiva a riconoscere le forme e l'incedere di Verdiana provocandogli un brivido lungo la schiena.
Era lontana e splendida; troppo lontana e troppo splendida per lui in quel momento.
Mentre il canto proseguiva accompagnato dall'organo Krueger era totalmente conquistato dal suo incedere nella navata laterale, dal suo apparire e scomparire dietro le colonne, dal suo fisico che serpeggiava sinuoso, alto sui tacchi; arrivò fino quasi a fianco a lui, in testa alla navata, in piedi. Sul viso si dipingeva qualcosa che lo faceva sentire bene, una intimità grande, qualcosa che forse Krueger pensava di poter chiamare amore; ma c'era un contrasto nella sua espressione, sembrava che un peso infinito rendesse tragico e bellissimo quel sentimento.
Indossava il tailleur viola.
Sul petto risplendeva una collana di pietre verdi con ciondoli; ricordava di averla già vista, anche se sembrava diversa, forse quando l'aveva vista c'erano meno ciondoli.
Per chissà quale scherzo di riflessione della luce il sole entrava nella cupola ed un raggio viaggiava pigro tra le navate illuminando il pulviscolo ed andando a colpire esattamente la collana.
Un pensiero arrivò piano nella mente di Krueger.
Quand'era ancora un pensiero da nulla, si divertì a girovagargli tra gli occhi, scherzando.
Poi crebbe, e volle la sua attenzione.
L'anfora rossa, il sangue.
La fiala bianca, il seme.
Oddio.
No, non era possibile.
Eppure... il sangue, il seme, il rosso, il bianco.
Lei aveva tutto.
Lei aveva preso tutto.
Una sola conclusione: era stata Verdiana; era stata lei ad uccidere Destefani, a seviziare Ingrid.
Lei, esperta in perversioni, le aveva utilizzate; anche per far tacere il vice ispettore e discolparsi. Ecco perchè aveva abbandonato le indagini così in fretta.
Si accorse di non avere più lo stomaco, di avere un buco al posto della pancia; la mente attraversata da questo pensiero lancinante, il corpo che abdicava alle sue funzioni.
Verdiana vide il suo sguardo e pensò per la prima volta di avere sbagliato tutto nella vita; se questa era la sensazione che aveva procurato nell'unico uomo chemai le fosse veramente interessato, tutto ciò che l'aveva portata ad essere lì in quel momento, ad essere la persona che era, era sbagliato.
Troppo male, troppo dolore, troppa sofferenza.

Seguì il confiteor, la confessione dei peccati; Krueger guardava Guerini al suo fianco, e si sorprese di aver pensato tanto male di lui.
Come non poteva confessare di aver peccato? Di avere avuto pensieri, e parole, e opere, che già lo condannavano? Che ingenuo, che idiota, che stupido. Lui che si sentiva tanto intelligente, padre Krueger acuto filosofo e ottimo docente, alchimista e astrologo, non aveva visto una realtà così banale da percepire.
Era stato abbagliato da quella donna.
La messa, pensava, è un sacrificio a Dio, " a te gradito", consacrando il pane ed il vino che sono il dono che l'uomo offre. Sono dono perchè l'uomo ha faticato, ha lavorato, per ottenerli; sono frutto della vite e del lavoro dell'uomo, non sono grano e acqua, ma pane e vino. Ogni dono, per essere un vero dono deve togliere qualcosa a chi dona per darlo a chi riceve; per poter donare con questa purezza ci si deve conoscere, e per questo si confessano i peccati.
Non è sterile rito: è funzionale al sacrificio, e Krueger pensava che per quanto non fosse un sacerdote il rito andava compiuto e la confessione dei peccati diventava un momento importante, soprattutto in questo momento, nel quale aveva scoperto di avereinfierito sul preside molto più del dovuto, proprio lui che pensava sempre di essere nel giusto.
Alzò gli occhi su Verdiana; ancora il dolore lancinante lo riprese, ma quello che vide in quegli occhi non fu nulla di comparabile alla colpevolezza.
Era una sofferenza intensa e composta, della quale non capiva il senso.
La collana risplendeva ancora sul suo petto, il verde della malachite ne moltiplicava la forza; sembrava assumere ad ogni sguardo maggiore importanza.
Krueger pensava "ecco il punto più basso, ecco come potevo scendere più in basso, ecco la mia punizione finale; con questo dolore lancinante ho toccato veramente il fondo. Quanto fa male, quanto mi è insopportabile questa posizione. Quella donna che tanto mi ha dato, quella donna in cui credevo, ha tradito ogni mia fiducia, mi ha tradito da sempre."
La celebrazione continuava per lui meccanicamente, ma la mente volava altrove.
Volava allo stato di nigredo, alla macerazione del profondo nero, alla marcescenza dell'uomo come unico modo per rinascere, alla sofferenza che l'avrebbe purificato, al sacrificio di Dio che rinasce per l'umanità, all'umanità che non ha colpa, quindi, in realtà, al sacrificio di sè.
Ogni sacrificio è un sacrificio di sè; quando Dio chiede ad Abramo di uccidere il suo figlio sa bene che in realtà Abramo ucciderebbe sè stesso dal dolore.
Krueger sentiva Dio pulsare in lui in qualche parte sconosciutae collegata a tutti gli altri uomini.
Distintamente la percepiva come l'immagine di Dio da sempre indicata da tutte le religioni.
Allo stesso tempo percepiva sè stesso ed il dominio della propria mente come un'isola in quel mare da cui era nata.
Dio da Dio, luce da luce.
Generato e non creato.
Della stessa sostanza.
Era tutto così chiaro! Ecco perchè 'figlio dell'Uomo'.
Ecco perchè nella messa il sacrificante è il sacrificato, ecco perchè il dono offerto è la mia isola, sono io stesso.
Ed ora Krueger si sentiva interamente sacrificato, nel dolore che lo stava scavando dall'interno, sentiva l'elastico teso allo spasimo.
Non immaginava un sacrificio più grande, non pensava fosse sopportabile una tensione più grande; invece, da lì a poco, ben peggio lo stava aspettando, mentre la mattina si faceva improvvisamente scura di un temporale estivo.

Verdiana si mosse, fece qualche passo.
Krueger la seguì con lo suardo.
La vide ondeggiare sui tacchi eleganti, qualche passo in avanti e qualche passo indietro, nella navata.
Il tailleur viola.
Percepi distintamente il frusciare della gonna stretta sulla pelle dei fianchi, la tensione della fodera del tessuto sulle cosce fasciate, le ginocchia guidate e contenute dall'abito, l'incedere sinuoso sui tacchi.
Questa volta il pensiero non gli ronzò in testa; si sfracellò su di lui come una frana che spazzi via un paese intero.
Lui aveva già sentito queste sensazioni.
Gli appartenevano.
Lui aveva indossato quell'abito, si era mosso in quella stoffa.
Guardò Verdiana; capì che lei sapeva.
Il pensiero si fece spazio nella sua mente.
"Hai ucciso il gusano?" Ricordò, improvvisamente e lucidamente.
Ricordò di averlo ucciso più volte, di essere entrato in uno stato di trance, lo ricordava con una golosità che ora gli sembrava incredibilmente disgustosa, peccaminosa e incredibilmente affascinante.
Ricordò di aver indossato il tailleur viola, la parrucca, gli occhiali, ricordò di aver abbordato Destefani, di averlo legato e di aver ottenuto ciò che voleva, così come con Ingrid.
Diventò terreo in volto; John se ne accorse e continuò la celebrazione al posto suo.
Pensò a Verdiana, che sentiva ogni movimento nel suo appartamento; probabilmente aveva sentito tutto, l'aveva visto uscire, l'aveva visto rientrare, aveva custodito il suo bottino.
Non l'aveva denunciato; anzi, l'aveva coperto.
Capì che il dissociato era lui; una personalità schizofrenica, un'altra isola vicino alla sua nel mare del suo essere, un'altra persona in sè aveva preso vita e s'era impossessata dei suoi studi sull'alchimia; aveva riconosciuto i marmi senza che lui lo sapesse, aveva riconosciuto l'opus e la voleva mettere in pratica.
Riconobbe in quell'hybris, in quell'invidia degli dei, in quell'orgoglio sconfinato una parte della propria personalità che aveva faticato a soffocare in passato ma che, evidentemente, s'era presa la rivincita, rinascendo come complesso autonomo, facilitato dagli effetti allucinogeni.
Capì tutto con una lucidità estrema; come in tutti i periodi importanti della vita ebbe la forza di pensare di essere solo, e di dover da solo risolvere il problema.
Non c'era che una soluzione: andarsene da questo mondo.
Non era più sopportabile quello stato di cose; la propria mente si rifiutava di ammettere di essere stato lui la causa di tutto. Gli pulsavano le tempie; doveva attutire la forza di quel pensiero per evitare che scoppiassero, capì che avrebbe potuto farle esplodere.
Altro che elastico, nigredo, marcescenza: doveva annullarsi, non essere, l'unica cosa che meritava era non essere più.
L'alchimia, lo studio, l'orgoglio, e quant'altro; lui stesso che s'era sentito in grado di redimere Dio, di essere come Dio, di trattare da pari con lui;che senso aveva di fronte alla perdita del controllo delle proprie azioni?
Guardò Vediana; anche lei capì che lui ora aveva capito, accarezzò i due ciondoli per comunicarglielo.
La sofferenza sul viso di quella donna e la sofferenza sul suo trovarono un terreno comune e comunicaronotra loro; lei capì che lui avrebbe preso una decisione estrema.

Il coro cantava l'Alleluja.
Venne letto il Vangelo di Giovanni, come nelle grandi occasioni; sempre Krueger aveva letto, commentato e meditato il Vangelo, questa volta ci si aggrappò:
"Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo.
Gesù disse loro:
«Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?».
Gli risposero i Giudei:
«Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Disse loro Gesù:
«Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi?
".

"Io ho detto: voi siete dei" gli risuonava nella testa.
Come posso essere Dio? Come posso convivere con questa lordura che è la mia vita ad essere Dio?

La celebrazione proseguì per Krueger in uno stato di assenza; solo le parole del Credo gli risuonarono importanti; pensò alla nascita della sua individualità, a lui Figlio Dell'Uomo, Dio da Dio, luce da luce.
Gli si gonfiò il petto dell'antico orgoglio; se questa deve essere la mia fine, l'avrò con te, Dio; sacrificante e sacrificato, insieme, io Abramo ucciderò mio figlio, la mia totalità ucciderà la mia persona.
Si rese conto di quanti alchimisti nel passato fossero giunti allo stesso punto; improvvisamente molti passi oscuri gli furono chiarissimi, capì perchè molti ne morirono, capì perchè l'opus diventava così unica, così importante nella loro vita: era l'unico modo per andare oltre a questa infinita nigredo, l'unico modo per redimere Dio dai suoi peccati, l'unico modo con il quale la creatura redime il creatore colpevole di aver creato la sofferenza dell'uomo, cioè l'unico modo per salvare se stessi e il Dio che ci ha generati.

Ci sarebbe voluto un'opus completa per redimersi; ma lui, così debole e colpevole, non si sentiva un artifex, non sentiva il proprio corpo l'atanor alimentato dalla potenza delle passioni, delle quali sentiva il fuoco divorarlo.

All'inizio dei riti della comunione, sentì di dover fare qualcosa; si alzò lui per invitare i fedeli alla preghiera del Padre Nostro.
Il viso, risoluto, comunicava la propria decisione; avrebbe fatto scoppiare le tempie durante quella preghiera.
Verdiana, da lontano, non poteva contenere il proprio dolore; le era chiaro quello che stava succedendo, era testimone impossibilitata a qualsiasi azione.

Krueger si portò, in piedi, dietro l'altare, e allargò le braccia per iniziare il Padre Nostro.
Guardò in avanti, vide i fedeli.
Che aspettavano in piedi che lui iniziasse.
Alzò lo sguardo: vide nella controfacciata il quadro dell'Ultima Cena, con quel Giovanni così femmineo; quel Giovanni che aveva guardato quando Verdiana lo aveva incontrato.
Aprì la bocca per prendere fiato.
Era bloccata.
Qualcosa l'aveva trapassato da parte a parte, nel senso dell'altezza del corpo; era esattamente sotto il centro della cupola, e sentiva le forze sotterranee salire dalla cripta sotterranea, passare attraverso di lui, trapassare la cupola e salire al cielo.
Nello stesso momento la stessa sensazione di trapasso trafisse le sue braccia allargate, a disegnare una croce con la direzione precedente.
Infine, la direzione del suo sguardo lo invase, partendo da dietro di sè, dalla nuca, attraversandogli la testa e puntando rettilineamente lungo la navata.
Si sentiva trapassato, inchiodato dalle sei direzioni; sentiva l'intero tempio riflettere la sua essenza e a sua volta riflettere il mondo intero con le sue sei direzioni; sentiva l'unità del mondo intero nell'incrocio dei tre assi di cui lui era il centro, sentì il mondo intero in un punto intermedio tra i suoi occhi e il naso.

Le tempie pulsavano, pronte ad esplodere; non ci sarebbe stata un'opus a salvarlo.

Verdiana vide il suo uomo che stava per scomparire da questo mondo trafitto da un mistero irraggiungibile; tutta la sua essenza di donna voleva fare qualcosa; ma non riusciva a far altro che guardare, e soffrire.
Era un dolore, forte, acerbo, secco; troppo ingiusto, insopportabile, si ribellò fondendosi con lui, lasciandosi invadere la mente da quel nemico così potente e terribile, combattendolo con tutte le forze.
Proprio quando stava pensando che non avrebbe retto altro dolore, che si sarebbe abbandonata alla disperazione, esattamente un attimo prima, uscì una piccola lacrima da un suo occhio.
Percorse la guancia, zigzagando un po'; la lasciò scorrere libera, non la asciugò.
Scese lungo gli zigomi, salì su un labbro.
Ebbe la tentazione di pulirsi con la lingua, ma non lo fece.
La lacrima dal labbro cadde.
Nella coppa della collana.
Il sangue, il seme, la lacrima furono allineati in quel momento:l'opus fu.
La catena cominciò a splendere ma, soprattutto, le tre direzioni si resero visibili su Krueger; tutti videro, e nessuno seppe ripeterlo allo stesso modo dopo che fu successo.
Sembrava un Cristo immolato in una croce tridimensonale; qualcuno disse che si librava nell'aria.
Lo stesso Krueger sembrava splendere di luce azzurrina, diventando evanescente, sempre di più.
Infine, mentre le tre direzioni perdevano di intensità, qualcuno lo vide alzare una mano e fare una specie di danza con una figura che gli apparve vicino; era una donna, brillavano intensi e dolcissimi i suoi occhi nocciola.
In questa specie di danza rituale si scambiarono qualcosa; lui lo porse a lei, che lo prese e lo portò al petto, insieme pronunciarono 'septigenti'.
Era qualcosa di piccolo e blu, che brillava di una luce che crebbe di intensità fino a diventare abbagliante, rimanendo a mezz'aria e rendendo poco a poco invisibili le due figure, finchè la luce brillò fulgida come una stella e le due figure scomparvero del tutto.
Se ne andarono, rimase solo la luce.

Fu così che Krueger se ne andò da questo mondo.

Poi tornò.

Le due figure riapparvero; prima la donna, che alzò la mano per prendere la stella e stringerla al seno; tutte le donne presenti desiderarono di essere lei, di avere una stella blu da stringere al petto.
Poi Krueger riapparve; ed il suo viso nessuno l'avrebbe più dimenticato, mentre guardava quella donna, mentre guardava in lei tutte le donne, i loro corpi e le loro infinite vie per giungere al cuore di un uomo.
Poi la donna poco a poco scomparve; rimase la luce a mezz'aria.
Tutti rimasero a guardare quella piccola potente luce azzurra e mescolarono la gioia alla tristezza nel vedere che si stava affievolendo.
Piano, lentissimamente, perdeva di intensità, lasciava spazio al resto.
Fu come risvegliarsi, fu come cercare di seguire la traccia di un sogno dolce che svanisce all'alba.
La luce azzurra diminuiva ed il resto del mondo appariva: le colonne, le persone, i marmi, le cose.
Fu come una rinascita; il mondo riapparve come nuovo, come se fosse stato cambiato da quell'apparizione, come se quella piccola stella bambina fosse venuta al mondo per cambiarlo; ed ora che se ne stava andando mancava al mondo.
Rimasero tutti a fissarla e non sembrava vero che si affievolisse, finchè tutti dovettero aguzzare gli occhi e il cuore per vederla ancora, per sentirla ancora pulsare, per chiederle stai ancora un attimo con noi.
Ognuno pensò resta ancora con me, stella cucciola, non andartene, con te si sta bene, anche solo oggi, anche solo un momento, anche solo adesso, per un attimo ancora, resta qui.

La luce del giorno inondò le persone e la stella sparì, proprio come all'alba del giorno nuovo scompare la stella del mattino.


[statua, castello di Compiano]


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