5 - et ne nos inducas in tentationem

Lo guardava negli occhi, Maretti Francesco.
I compagni di scuola lo chiamavano Ciccino, ma lui era il professore e non poteva farlo, non poteva chiamarlo così; anche se avrebbe voluto.
Lo guardava negli occhi mentre tratteneva il respiro tra una parola e l'altra, nella pausa immensa e dolce tra 'madre' e 'figlia'.
Sapeva che quegli occhi lo stavano trapassando da parte a parte, che quella innocenza da giovane anima diciottenne pendeva dalle sue labbra; sapeva di aver colpito in pieno.
Sapeva fare il suo mestiere.
Maretti Francesco, detto Ciccino, era bravino a calcio, e bravino a scuola; media del sette, qualche cinque, qualche otto.
Maretti Francesco, detto Ciccino, a volte s'illuminava nelle lezioni di lettere ed era difficile continuare ad insegnare con quegli occhi appesi alle proprie labbra.
Il professore lo sapeva bene; il pensiero che s'insinuava era "passi anni a cercare di appassionare i ragazzi e quando ci riesci... ti si ritorce contro: l'onda di rispetto e ammirazione per quello che insegni ti sommerge, e puoi non essere in grado di sopportare tanto rispetto, tanta riverenza, tanta attesa per ciò che stai dicendo. Devi essere forte, preparato, pronto, ricettivo."
Ma stava insegnando Dante; aveva le spalle coperte dalla forza del poeta.
Così in quella frazione di tempo tra 'vergine madre' e 'figlia del tuo figlio', mentre aveva gli occhi agganciati con quelli di Maretti Francesco, detto Ciccino, gli tornò in mente il mantra della seraprima: 'non lo devo fare'.

Non lo devo fare non lo devo fare non lo devo fare.

L'aveva pensato tutta la sera, preparandosi alla lezione per il giorno dopo. E ancora la notte, rigirandosi tra sonno e sogni.
Studenti dell'ultimo anno, preparazione alla maturità, i canti del Paradiso della 'divina', Canto XXXIII. Fuori, primavera di maggio.
Propio il canto di Bernardo, Bernardo di Chiaravalle, tanto cercato nei pensieri, tanto cercato nelle opere: una vita in giro per l'Italia e la Francia a cercarne testimonianze.
Lui, quello che Dante chiama 'un sene', un vecchio, un anziano, un senescente, 'vestito con le genti glorïose', un sene che, dice Dante "m'accennava, e sorridea".
Ancora in quella frazione di tempo, il maturo professore perso negli occhi di Maretti Francesco detto Ciccino sentì deformarsi i tratti del viso in un desueto sorriso provando un dolore dolce, immaginandosi negli occhi del suo allievo come 'sene' che in quel momento "accennava, e sorridea"; un corto circuito di emozioni.
Poi un battito d'occhi, uno sguardo a tutta la classe, per riprenderne il controllo.

Occhi.
Occhi di diciottenni.
Occhi di maschi, occhi di femmine.

Ma quanto può durare quest'attimo, pensò padre Kruegg.
Occhi di ragazzi che erano stati portati fin dal suono della campanella di cambio d'ora, fin dall'ingresso del professore in aula, fin dalla compilazione del registro, erano stati portati a capire che sarebbe stata una lezione diversa.
Lo capivano, a volte, che il loro professore quasi stava male dallo spasimo di voler spiegare loro tutto, di poter essere chiaro, di non perdere neanche un secondo per significare la gloria di ciò che stava spiegando; e questa era una di quelle lezioni. Li percorreva una specie di brivido collettivo, era come se tutti si tenessero per mano per farsi forza a sentire cosa questo 'sene' aveva da dir loro.
Quanto può durare, si ripetè. Da quanto tempo vivo quest'attimo sospeso? Giungeva lontano un brusio da altre aule, il suono leggero della brezza della primavera fuori dalle finestre.
Bernardo. Che parla alla Madonna. Alla femmina.
Il pensiero fisso diventò 'non devo piangere', 'non capirebbero'.
A volte, da solo, quando si lasciava andare a questi pensieri piangeva come un bambino; la leggerezza e la serenità del 'sene' felice verso la gioia pura della femmina che lo completa. Che altro può esistere al mondo di più puro?
Quindi, si riprese inspirando, più forte.
E fu proprio espirando, in quel momento, che decise "lo farò anche quest'anno".
Se lo appuntò bene in testa.
Ripresosi, ora più sicuro, sapendo che avrebbe raggiunto l'obbiettivo di trasmettere ai ragazzi ciò che voleva, tranquillo grazie alla potenza immensa in forma di endecasillabi, ricominciò e riprese recitando la prima terzina.

"vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio"

Gli fu immediatamente chiaro che i ragazzi avevano capito tutto.
Non ci sarebbe stato bisogno della spiegazione, che pure avrebbe portato avanti di lì a poco.
Ormai i ragazzi erano marchiati a fuoco da quella terzina, da quel momento; percepì chiaramente, per dirla con Mircea Eliade, che erano usciti dal tempo profano per entrare nel tempo sacro; per un attimo era diventato sacerdote - vero - e aveva prodotto un momento unico nel quale la sua persona era al crocevia di energie, era diventata veicolo e snodo di potenze superiori alle proprie capacità.


Affrontò le altre terzine: ormai la classe viaggiava su un altopiano, l'atmosfera era dolce e rarefatta, si era creata la situazione ottimale: studenti felici di conoscere, docente felice di darsi.
Per questo quando lo fece, anche quest'anno, nessuno obiettò; anzi, i ragazzi lo trovarono giusto e molti, in cuor loro, già avevano deciso di farlo.
Quando lo disse: "vorrei che imparaste queste terzine a memoria" gli sembrò veramente stupido aver pensato che non avrebbe dovuto farlo.

Eppure.
Eppure il preside aveva insistito, ricordava le sue parole 'padre Kruegg, è vero, ha ragione, tutti abbiamo studiato così; ma per il bene della nostra scuola, per quest'anno, forse è meglio che non lo faccia, che non obblighi i ragazzi a studiare a memoria".
La facoltosa famiglia di una studentessa bocciata l'anno precedente aveva fatto ricorso contro la bocciatura, vincendolo; la famiglia aveva un buon avvocato e la scuola fu costretta a versare un sacco di soldi per i danni che la scuola avrebbe procurato facendo perdere un anno alla rampolla di famiglia. Tra le motivazioni con cui era stata vinta la causa, figuravano questi metodi anacronistici e vessatori con cui venivano tenute le lezioni del professor Kruegg, costringendo i poveri ragazzi ad imparare a memoria astruse vecchie poesie a pena della bocciatura.

La campanella segnò la fine dell'ora e l'inizio dell'intervallo; i ragazzi uscirono ed infine anche lui uscì verso la sala professori, con un segreto sorriso e tenendo tra le braccia stretto il registro, come se potesse abbracciare tutti i suoi allievi con quel gesto.
I colleghi avevano rispetto di quell'altero docente e lo trattavano con deferenza; per questo quando il collega di matematica gli disse 'ho visto il preside, vuole parlarti' lo disse con un po' di timore, come un ragazzo timido che notifica una possibile punizione ad un compagno di banco più forte di lui.
"Com'è possibile che già l'abbia saputo" - pensò padre Kruegg. Avrà messo qualcuno a sentire fuori dalla classe... ma avrebbe dovuto sapere che oggi affrontavo quel canto... non è possibile.

Il preside era un sacerdote; un ometto magro, di media statura e dai piccoli occhi neri, che si fregava spesso le mani mentre parlava; attento ai conti, all'amministrazione, sorrideva poco e in modo distante; subiva la propria funzione piuttosto che viverla appieno, ma in quel ruolo si sentiva investito di una importanza che gli dava qualche temporanea soddisfazione, e per questo volentieri ubbidiva ai superiori che gli avevano chiesto di coprire quell'incarco.
"Si sieda, padre Krueger, si sieda."
Il professore pensò tagliamo corto, facciamola finita. Disse "non si preoccupi, tornerò in classe al più presto, oggi stesso se vuole, e dirò che non c'è nulla di obbligatorio, non c'è nulla da studiare a memoria, mi ero sbagliato."
Il professore osservò la strana reazione del preside: che non parlò, ma che continuava ad osservarlo attentamente.
Vedeva un uomo in difficoltà, quell'ometto stava curiosando nella personalità di padre Kruegg; gli occhi erano improvvisamente diventati vispi, il segreto rispetto che aveva per un uomo di quella statura morale aveva moltiplicato la gioia di averlo colto in fallo. Lampi di soddisfazione brillavano nei piccoli occhi scuri non tanto per quanto era successo, ma per vedere quanto le proprie misere insoddisfazioni e vicende personali potessero dargli dolori simili a quelli che persone così forti potessero avere; si sentì soddisfatto di questo pensiero, anche se preoccupato dal seguito della discussione.
"Padre Kruegg, non era di questo che volevo parlare; c'è qualcosa di più grave."
Il professore si stupì e strabuzzò gli occhi. Qualcosa di più grave, interessante. Da parecchio le cose 'gravi' gli davano soddisfazione; finalmente qualcosa di forte di cui parlare per andare un pò oltre a queste baruffe chiozzotte sul mandare o meno a memoria brani - peraltro - eccelsi.
Fu quindi con un misto di sollievo, soddisfazione ed aspettativa che si mise ad ascoltare il preside.
"Lei sa che l'immagine della nostra scuola è stata messa duramente alla prova in passato; un'altro grave colpo e questa istituzione bicentenaria potrebbe dover chiudere. Per questo dobbiamo prestare molta attenzione a come ci comportiamo, come istituzione, come corpo docente, come singoli professori. Qualsiasi immagine negativa si ripercuoterebbe in modo definitivo sul numero di iscrizioni e ciò significherebbe il crollo."
Padre Kruegg annuì, ma il suo pensiero era alla ricerca della motivazione per cui gli venivano dette cose che conosceva benissimo; inoltre era proprio lui uno dei simboli pubblici più riconosciuti dell'integrità e del valore della scuola.
"Padre Kruegg, c'è qualcosa che vuole dirmi al proposito? ne sa qualcosa?"
Questa volta aggrottò le sopracciglia. Io? Dire qualcosa? Così disse qualche frase di supporto a quanto era stato detto, confermandolo.
"Padre Kruegg, è successo qualcosa che può mettere a repentaglio in modo grave l'immagine della nostra istituzione."
Che sarà successo, pensò il professore. Qualche anno prima una collega, palesemente esaurita, aveva fatto scenate in classe ed i gentori avevano tanto insistito con il preside per sostituirla; era stato proprio lui, padre Kruegg, a convincerla ad andarsene per essere sostituita. Così penso ad un caso simile: il preside gli stava parlando per chiedere aiuto.
"Lei è a conoscenza di fatti che possono ledere così fortemente la nostra scuola?"
"No, ecchediamine, ne avrei già parlato!" - pensò Krueger - Ma cos'è sto mistero, cosa mi vuole dire quest'uomo.
"Padre Krueger... non so come parlarle di cose che lei conosce bene, ma sulle quali evidentemente non vuole pronunciarsi - me ne dolgo, gliene parlerò apertamente.
Ecco vede... è arrivata una busta.. quasi anonima, diciamo, perchè pur essendo anonima abbiamo la quasi certezza del mittente, contenente un testo con delle accuse di comportamento sconveniente, accuse nei suoi confronti; è citato come professore di questa scuola e c'è la minaccia di rendere pubblica la notizia."
Comportamento sconveniente? Gli vennero in mente più episodi di comportamento sconveniente. Aveva ballato sui tavoli di una classe, per imitare e in certi casi irridere il film "l'attimo fuggente". Aveva indossato i tacchi a spillo, con l'abito talare, per partecipare ad una corsa sui tacchi organizzata dalle allieve dell'ultimo anno. Aveva disturbato parecchie omelie in Duomo con dei 'buuuhh'. Era rimasto chiuso di notte in qualche museo facendo scattare gli allarmi. Ma, insomma, gli sembravano tutti comportamenti dei quali si sarebbe potuto giustificare, difendere e, infine, esserne orgoglioso.
Per questo, conscio del fatto che comunque il colpevole sarebbe stato lui, pronto a dare battaglia, disse al preside chinando platealmente il capo e scherzando: "vostro onore, legga i capi d'accusa."
"Pedofilia".
Padre Kruegg non si mosse, per molti secondi.
L'impressione fu quella di una lama tagliente e ghiacciata che preme forte sul collo tra la spalla e la nuca. Gli sembrava di sentire il filo della lama sulle vertebre.
"Pedofilia".
Gli occhietti scuri del preside avevano acquistato una nuova vitalità; correvano ansimando dalla disperazione più cupa dovuta al cadere dell'istituzione che dirigeva allafelicità animale ed insensata di vedere in ginocchio una persona che aveva sempre collocato su un altare, derubricato a ruolo di uomo normale, con le stesse sue angosce e disperazioni.
La bocca era improvvisamente asciutta; voleva bere, ma non c'era acqua.
Un mal di testa in forma di ronzio oscillante ruotava tra le tempie.
Non si impose di ragionare; sapeva quanto fosse inutile in quei momenti. L'importante era ottenere il maggior numero di informazioni, in modo da poterle più tardi organizzare per una strategia di difesa e, eventualmente, di attacco. Lao Tze, l'arte della guerra; testo magistrale, pensò, per tutti gli uomini in difficoltà.
Per questo raccolse le forze, demandò la disperazione ad un periodo successivo, e chiese maggiori spiegazioni, sostenendo che sicuramenre l'errore sarebbe stato smascherato.
Che presto tutto sarebbe stato risolto.
Che l'immagine della scuola non avrebbe dovuto subire alcuna incrinatura.
Per colpa sua, poi!
Che anni di rigore e disciplina l'avevano formato a non poter commettere certi errori.
Che il complotto sarebbe stato smascherato, i colpevoli trovati, la scuola scagionata, la verità ristabilita; e tutta questa forza gli salì nello sguardo con il quale investì il preside.
Preside che fu quasi atterritto da quest'impeto inaspettato, quasi spazzato via dalla forza del vento che prorompeva dallo sguardo di quest'uomo.
Preside che quasi balbettando, ponendo il palmo della mano con le dita aperte sulla busta, si preparò a pronunciare la frase che avrebbe contrastato la tempesta che s'era scatenata; s'immaginò di essere un faro in mezzo alle onde enormi.
"Qui ci sono le foto."
Padre Kruegg prima impallidì.
Poi distese lo sguardo.. piano piano... tranquillo, finalmente... le foto! Sarebbero stata la prova non della sua colpevolezza, ma della sua innocenza! Non si può fotografare ciò che non esiste!
"Vediamole, queste foto." disse all'ometto.
"Vuole vederle da solo, padre Kruegg? Io la lascio per un po' qui in ufficio, me ne vado."
"Ma per la carità!" - pensò il professore - "stai lì e tira fuori queste foto."
Prendendo in mano la busta e facendola tremolare il preside descrisse un semicerchio sulla scrivania; tutte le foto si presentarono dal lato giusto, una sola rovesciata,
L'ometto guardò Kruegg, che, lentamente, girò anche quell'ultima.

Kruegg le guardò, una ad una.

Disse solo: "oddio."


[foto: da uno scranno del coro ligneo di una chiesa dell'italia centrale]

C'è la pagina Facebook di Krueger, e il romanzo si può approfondire e comprare su krueger.losero.net.