9 - luce

La Cacia, die dominico 30 iunii anno domini 1491

In una casa in campagna, nel paese di La Cacia, vicino a Torino, Maria e sua figlia sono in casa, in un ambiente unico a piano terra con la stalla e la cucina.
Sulla stufa qualche pentola manda profumi di cibo, la figlia è alla finestra, guarda fuori. La porta è aperta, si sente un bel caldo in questa primavera che è quasi diventata estate.

Mantina, devi andare a portare le capre al pascolo, muoviti.
Sì mamma, ora vado. Ma stassera ceniamo con gli altri?
Certo, sarà una bella sera; uniremo i tavoli sulla strada come al solito, in queste giornate che si allungano è ancora più bello.
Quanti saremo?
Quasi tutti.. forse tutta la via, questa volta. Anche perchè prima dobbiamo trovarci per delle discussioni importanti.
Quando?
Tra poco. Mentre tu sei al pascolo; poi chiudile nel recinto e raggiungici lì.
Che bello! Sono contenta!
Ma... perchè piangi mamma?
Non piango.. sono le cipolle.
E perchè le metti così vicino agli occhi?
Per farli lacrimare. Ma tu va adesso, vai.
E perchè devi lacrimare?
Ho detto vai! Ti spiego tutto dopo. Pestifera.. muoviti dai!
E perchè metti il viso nel pentolone, col vapore?!?
Diamante! Vai ora, ti ho detto che ti spiego tutto.
Va bene, vado....

La bambina uscì dalla casa con il viso un po' corrucciato.
Maria cercò il più possibile di avvicinare il viso alla pentola dell'acqua calda, e di resistere il più possibile.
Lo fece più volte, poi di nuovo sfregò le cipolle sotto gli occhi.
Si guardò nello specchio, una lastra di stagno lucida... ottimo risultato, pensò.
Ora veniva la parte più difficile, l'ultima.
Aveva legato una cintura di suo marito alla ruota dell'arcolaio; girando la manovella la cintura sibilava veloce nell'aria.
Alzò la gonna, preparò le natiche a ricevere un colpo.
Girò l'arcolaio più forte che poteva esponendo il sedere vicino alla zona dove sibilava la cintura, non osando avvicinarsi; pensava di colpirsi un po' di striscio, in modo da lasciare un bel segno ma non il dolore.
Continuava a girare la manovella ma non riusciva a risolversi a farsi prendere a cinghiate da quel mezzo poco usuale. Si accorse che le lacrime cominciavano a diminuire, che il rossore in viso provocato dal vapore stava scemando. Oh e che sarà mai, ragionò e spostò la natica proprio in pieno sotto la cinghia sibilante.
Fu un dolore lancinante, come non aveva mai sentito. Maledisse il giorno in cui aveva deciso di farlo, le lacrime sgorgarono vere, questa volta, irrefrenabili.
Che dolore! Si morse le labbra.
La cute era rossa accesa, i margini viola fino ad essere rossi dove a tratti usciva sangue dall'abrasione, il segno fortissimo, il dolore acuto e bruciante. Rimise a posto la gonna, ma ad ogni passo la frizione del tessuto grezzo con la ferita le procurava una sofferenza acutissima.

Dopo qualche passo si ritrovò in paese al luogo convenuto, davanti alla chiesa.
Il curato troneggiava davanti a tutti; una serie di uomini da una parte ascoltava a capo chino, una serie di donne dall'altra, un po' più distanti, guardava la scena di sottecchi, confabulando sottovoce.
La voce del curato si sentiva forte, tuonava di castighi tremendi.
Un uomo disse ad un altro "A Lanzo ne hanno bruciate dodici'."
Gaspardo trasalì nel sentirlo; istintivamente cercò gli occhi di Maria nel gruppo delle donne; l'aveva vista arrivare - sembrava zoppicasse - poco tempo prima.
Alzò lo sguardo verso le donne e vide sua moglie lacrimante, rossa in viso; ebbe un tuffo al cuore. Proprio in quel momento lei alzava la gonna per far vedere alle altre quel segno, ormai viola, sulle cosce.
Gli uomini notarono lo sguardo fisso di Gaspardo e tutti, curato compreso, si voltarono nella direzione degli occhi e videro la striscia viola tra la natica e la coscia, tutt'intorno arrossita, e notarono le lacrime ed il viso compunto di Maria. Durò troppo, quella scena; il curato se ne accorse ed invitò con lo sguardo, e riprendendo a parlare, a non osservare quelle nudità. Ma nel riprendere il discorso quando posava gli occhi su Gaspardo ora sembrava esprimere ammirazione e, congedando il gruppo, senza parlarne apertamente lodò Gaspardo per essere un buon capofamiglia.

Anche gli altri uomini lo guardavano con un misto di ammirazione e rispetto; qualcuno gli disse bravo, o così o fanno quello che vogliono e perdi il controllo. Altri si stupirono che un uomo forte come lui avesse preso a cinghiate una moglie così esile; ci sono altri metodi, suvvia. Subito gli offrirono un bicchiere di vino; per certo si congratularono con lui per aver risolto positivamente una bella grana; a Lanzo, del resto, ne avevano bruciate dodici! Così si spostarono dove si stavano apparecchiando i tavoli per la cena e lui cercò in tutti modi di schivare i complimenti che gli altri uomini gli facevano.
Non stava capendo niente.
L'unica cosa che voleva era parlare con Maria, capire cosa fosse successo. Se non era stato lui a prenderla a cinghiate, e questo era certo, cosa poteva essere successo? Chi l'aveva fatto? Chi, comunque, aveva risolto questa brutta situazione in cui si era andata a ficcare, proprio ora che lui aveva trovato un lavoro stabile e ben pagato, alla fabbrica del Duomo di Torino?
Era la sera, piùo meno verso le sette, e le donne si stavano dando da fare per apparecchiare il tavolo, entrando e uscendo dalle case; ognuna entrava nella casa dell'altra, chiacchierava, dava un giro di mestolo nelle pentole, prendeva qualche tovaglia, qualche stoviglia, qualcosa per apparecchiare fuori.

Appena l'attenzione su di lui fu scemata uscì dal drappello di uomini e seguì Maria nella casa di una vicina. Era ancora rossa in viso e con gli occhi lucidi.
La raggiunse in una stanza dov'erano soli; lei stava cercando delle tovaglie da un armadio, dopo averle prese si rigirò e si trovò suo marito davanti.
Non ci fu bisogno di parlare; il sorriso felice di Maria non richiedeva parole, lui capì che non c'era nulla di cui preoccuparsi, che quella donna esile, dolce era anche a suo modo furba; quasi quanto un uomo, pensò. Forse di più, gli venne in testa di pensare, ma non osò soffermarsi; già avevano corso un grosso rischio di eresia.
"Ma cosa hai fatto, chi te l'ha fatto, perchè, per come dimmi almeno cosa... "
Lei pose l'indice sul suo naso.
"sssttt ti dirò tutto.
Senti.
Ho fatto tutto io, da sola."
E lei gli schioccò un bacio sul naso, sonoro, proprio mentre la padrona di casa entrava. Era un donnone forte e curioso, gioviale e chiacchierone; ma questa proprio non se la spiegava, e mentre Maria correva fuori saltellando disse a Gaspardo:
"Questa me la devi spiegare però; come fai a battere le donne e poi a farti baciare con quel sorriso così radioso? Che ci fai tu alle donne?"
Gaspardo fece uno sguardo d'intesa, sostenne lo sguardo e disse gravemente "Taci donna, son segreti degli uomini forti; non t'impicciare."
Lei lo seguì con uno sguardo di ammirazione, e, forse, di invidia per la moglie.

Arrivò in mezzo a loro il banditore, Medichino Liegi; il realtà era una guardia del Duca che assolveva anche a questo compito, ed aveva in mano un rotolo che, come al solito avrebbe letto davanti a tutti. Era un uomo mingherlino e pieno di sè, si dava molta importanza e gli piaceva molto sentire il suono della propria voce davanti al pubblico silenzioso, perciò disse "venite, adunatevi che devo leggervi un avviso importante, e muovetevi non ho tempo da perdere e lo leggerò una volta sola."

Gaspardo un po' si rabbuiò. Era successa la stessa cosa, più o meno un mese prima; ricordava ancora quasi tutte le parole.
Quante cose erano successe da allora; alla felicità per avere trovato un lavoro così nobile e bello alla fabbrica del Duomo era seguito un periodo di paura infinita per la sorte di sua moglie e della sua famiglia.
Anche allora era arrivato Medichino con il suo fare altezzoso; anche allora li aveva radunati tutti; anche allora aveva letto un edittoche non era del duca, ma addirittura del vescovo, del quale il duca si faceva braccio esecutivo, e diceva:

La Santità di Nostro Signore
per impedire gli inconvenienti che sotto vano pretesto di prendere la Guazza
sogliono commettersi nella notte precedente la Festa della Natività del glorioso precursore San Giovanni Battista,
ci ha comandato coll'Oracolo della sua viva voce
di rinnovare il presente Editto altre volte pubblicato,
in cui coll'autorità del Nostro Uffizio non solo in questo, ma in ogni altro Anno avvenire,
espressamente proibiamo
a qualsivoglia persona dell'uno e l'altro sesso
di andar in detta notte fuori delle porte della Città
sotto qualsivoglia pretesto che possa recar scandalo,
o dar motivo di credere ciò farsi in continuazione de' passati abusi
sotto pena in caso di contravvenzione rispetto agli Uomini
di tre tratti di cordain pubblico e di scudi 50 e altre pene a nostro arbitrio
secondo la qualità delle persone da applicarsi la metà ad usi pii e l'altra metà
per un quarto agli Accusatori, che saranno tenuti segreti,
e l'altro quarto agli Esecutori.
Rispetto poi alle Donne sotto pene gravi anche corporali a nostro arbitrio.
E per togliere ogni occasione ai mentovati disordini
si ordina e si comanda
a tutti gli osti e bettolieri che, nella Vigilia di detto Santo,
debbano tener serrate le loro osterie e bettole dalle ore 3 di notte alle 10 del giorno dopo [dalle 21 alle 4]
sotto le stesse pene, nelle quali incorreranno anche le persone trovate in detti luoghi sebbene a porte chiuse.
Avvertendo finalmente, che contro i trasgressori
sia nel primo sia nel secondo caso
si procederà per inquisizione
ed in ogni altro modo alla cattura ed esecuzione di dette pene.


"Si procederà per inquisizione", questo lo ricordava bene, a chi andrà a 'prendere la Guazza'.
Per questo aveva pregato sua moglie, troppo intelligente, troppo furba, troppo di tutto di non andare a prendere la guazza la notte del Precursore di Nostro Signore, il san Giovanni Battista; anzi, di restare in casa.
Maria lo aveva guardato con gli occhi dolci, i più dolci che aveva a disposizione, e gli aveva detto "ci sono cose, marito mio, ci sono cose che ho dentro; e non ci sarà prete a farle tacere. Ci sono cose che sento forti e buone e potenti, ci sono cose a cui mi lascio andare per sentirmi viva, per sentirmi femmina in questo mondo di maschi e per i maschi. L'anno scorso l'ho presa, mia madre la prendeva, mia nonna e così via fino alla Maddalena e forse prima ancora; la terra tutta la prende in quella notte sacra. Il Precursore battezzò con l'acqua: e acqua sia in me, la terra mi faccia germogliare in grembo la vita nella notte in cui la luna sposa l'acqua. Nessuna femmina può resistere al richiamo, se è viva dentro; lo insegnerò a Mantina quando sarà ora, vorrò sentire la Luna chiamare Diamante, vieni, uniamo le acque in questa notte magica."

Lui semplicemente, era spaventato. Ma chi ho davanti, cos'è questa potenza che mi si para in questo corpo di femmina. E forse il demonio?Incapace di tenere tanta potenza nella sua mente, ne era sovrastato; la fiducia negli occhi di Maria vinceva su tutto, ma il terrore che incorresse in qualche denuncia e si procedesse 'per inquisizione' lo lasciava senza possibilità di ragionare. A Lanzo, si diceva allora, sarebbero salite sul rogo dodici streghe.
E per questo quella notte, tornando dal lavoro, non poteva pensare ad altro; era notte, c'era una luna grande, e dalla fabbrica del Duomo a casa ci volevano due ore buone.
Era rimasto alla fabbrica fino a ora tarda; di giorno il carro della festa che buttava merci a tutti era passato davanti alle chiese di Solutore, del Precursore e di Santa Maria donando a tutti merci e regali; la festa di san Giovanni era veramente grandea Torino; poi era dovuto rimanere fino a tarda ora, fino all'ultima messa in san Solutore, a controllare che i rinforzi alle murature non presentassero problemi mentre venivano celebrate le messe.
Aveva visto, e sentito, cose incredibili, ne era scosso; ma tornando a casa il pensiero di sua moglie insieme alle altre donne a prendere la guazza lo tormentava.

Lei glielo aveva raccontato, una sera d'inverno; c'era anche sua madre e sua nonna. Non erano d'accordo nel dirlo ad un maschio le due più anziane; ma Maria aveva insistito, "è mio marito e mi fido."
"Ci sono cose che gli uomini non devono sapere" - dicevano loro, e storcevano un po' il naso; nonostante questo assistettero e anzi, spiegarono meglio.
Così quella notte di San Giovanni tornando lungo le mulattiere di Druento, mentre la luna illuminava la bella valle e i campi, lui guardava verso il monte Barone e si immaginava quelle donne. Non c'era un rituale preciso; a volte la più anziana faceva un gesto e lo ripetevano le altre, a volte invece era una a caso che prendeva l'iniziativa, diceva, cantava o faceva qualcosa e le altre seguivano. A volte si tenevano per mano, spesso in cerchio, i piedi nudi nell'erba alta. Ad un segnale corale che sembrava arrivare insieme a tutte alzavano le gonne, fino sopra al seno, scoprendo il corpo nudo.
L'erba, gonfia di rugiada a quell'ora della notte, luceva sotto i raggi della luna.

Le donne, cantando e ripetendo la melodia quasi salmodiata in coro, piano, una ad una si inginocchiavano aprendo le ginocchia, facendo penetrare l'erba bagnata tra le gambe, in un amplesso magico con la terra; gli occhi rivolti alla luna bianchissima, le braccia levate in alto a riceverne l'influsso, il bacino ad eseguire piccoli cerchi di intensità crescente.
Non poteva non pensarci, non poteva pensare ad un mondo così lontano da lui eppure così desiderabile, per qualche momento si diceva che avrebbe voluto essere donna per provarlo; ma il timore di peccare subito faceva tacere in lui questi pensieri e sarebbe stato solo il sorriso di Maria, una volta tornato a casa, a fargli capire che, anche quest'anno l'aveva fatto e, anche quest'anno, era stato bellissimo.

C'era qualcuno a spiare le donne, quella notte; Medichino Liegi, inviato dal duca, che non aveva trovato mezzo migliore per avere l'amicizia del vescovo: trovare qualcuno che disobbedisse ai sui editti, e notificarglielo. Per questo aveva mandato la guardia che, una volta tornata, riportò al duca tutti i nomi delle donne coinvolte; tra cui Maria. In realtà il duca era infastidito da questa storia dell'inquisizione; perchè mai la Chiesa doveva occuparsi dei crimini nei territori del duca? Molto meglio prima, quando ogni Signore del territorio poteva liberamente sia decidere cosa fosse l'eresia, sia mandare al rogo a proprio piacimento gli eretici; tutto più semplice e lineare, molto più comodo da governare. Invece da quando c'era l'inquisizione no: lui non poteva essere signore in casa propria! Doveva per forza passare attraverso la Chiesa per mettere sul rogo un eretico, roba da pazzi. Che poi magari succedeva anche che la Chiesa istruisse un processo e alla fine dichiarasse innocente l'eretico, sconfessando il giudizio del Signore del territorio! Cose da pazzi, il mondo alla rovescia. Aveva visto un processo ad un eretico, giù nelle cantine di via san Domenico a Torino: che ci voleva a farlo? Non era anche lui in grado? Un prete esperto, un verbalizzatore civile cioè un notaio, un po' di strumenti per far uscire l'eresia dalla bocca dell'eretico.. cos'altro ci voleva? Invece no, tutto in mano alla Chiesa! Tutto in mano ai predicatori, a quei cani di San Domenico... Domini Canes, i cani di Dio, tanto che in via san Domenico i palazzi avevano le teste di cane ai portoni...
In ogni caso, era andato personalmente dal vescovo a portare la lista delle donne che avevano preso la guazza contravvenendo agli ordini; era certo di barattare la lista con qualche... concessione nei confronti della sua condotta, a volte un po' troppo libertina, che gli inimicava le gerarchie ecclesiastiche.

Il vescovo, non lo ricevette neanche; lo fece aspettare ore nel Chiostro del Paradiso, dove venivano custoditi proprio dietro a San Giovanni, nel palazzo del Vescovo, tutti i beni della curia; dandogli speranza di udienza lo fece passare da un subalterno che si impossessò della lista; il duca se ne andò infuriato.
Come da prassi, venne convocato il curato del paese in modo che potesse avviare le prime indagini; e fu proprio lui, durante la messa della domenica, a parlare in pubblico di questa lista, di come il demonio si fosse impossessato del paese di La Cacia dove proprio lui aveva in cura le anime.
Non fece nomi, in pubblico, ma predicò la necessità dei mariti di tenere 'in ordine' le proprie mogli, evitando gli influssi del demonio, e di non esitare a batterle nel caso che ne spuntassero i segni, in modo da estirpare il male fin dalla radice. Parlò della lista, ed ogni volta che la nominava le donne abbassavano gli occhi; gli uomini si guardavano l'un l'altro, e guardavano le mogli, sospetti e curiosi, sicuri della propria famiglia e inorriditi dalle altre.
La predica durò parecchio, incentrata sul castigo e sul perdono; fece capire che il giusto castigo è quanto più sia necessario, e se avesse visto i segni del castigo scendere sulle famiglie della città avrebbe capito che, forse, in qualche caso, qualche nome poteva essere tolto dalla lista.
Quando pronunciava la parola castigo lo sguardo faceva una strana parabola, partendo dagli uomini e andando verso le donne: cas--->tigo, come a far intendere che gli uomini avrebbero dovuto interpretare il giudizio divino per salvare la propria famiglia.
Fuori dalla chiesa, capannelli di uomini discutevano proprio di questo; nessuno sapeva bene cosa fosse la guazza e se la propria moglie partecipasse a questa sconosciuta pratica; spesso la sera o la notte, si recavano una a casa dell'altra, non si poteva sapere dove fossero andate. Qualcuno sosteneva comunque di battere le mogli, così, come cura ogni tanto necessaria, per farsi rispettare.

Quando Gaspardo si ritrovò solo con Maria, la guardò smarrito e le disse solo 'Non ti batterò mai'.
Lei le rispose di rimando 'E se to chiedessi io? Potrebbe diventare necessario'.

Tutto questo pensava Gaspardo, mentre il banditore stava per aprire il foglio.
Tutti questi pensieri si aggrovigliavano nella sua mente, mentre cominciava a declamare con la sua voce stridula.
L'editto era del duca ed era una copia di quello del vescovo, semplicemente diceva che avrebbe provveduto lui stesso oltre all'inquisizione; venendo dal duca, lo riteneva meno importante, sapeva che in fondo era solo un gran chiacchierone.
Poi guardando la tavolata che s'apprestava allegramente a mangiare Medichino chiese:
'"Avete il permesso ducale per l'uso del suolo pubblico? Senza quello dovete sgomberare immediatamente la via, o sono obbligato a denunciarvi al duca!'"
Gli uomini cominciarono a canzonarlo... il permesso ducale!! Per poter pranzare davanti a casa!
Il messo continuava a sbraitare, ma più nessuno lo stava sentendo; era arrossito e arroventato dalla situazione.
Fu Mantina a prenderlo per mano e a portarlo a sedere a tavola; qualche uomo gli servì un bicchiere di vino e lui prese la decisione che gli cambiò la vita: si sedette con loro, e dimenticò il permesso d'uso del suolo pubblico, cominciando a sorridere e a conoscere, davvero, i suoi compaesani.
Partecipò alla serata; dopo qualche bicchiere di vino gli animi si fecero allegri, e Gaspardo portò un liquore che aveva preso il giorno di San Giovanni quando il carro ne distribuiva a tutti, a Torino.
Qualcuno si complementò con lui per il lavoro alla fabbrica del Duomo; nella sera estivagli chiesero dai, raccontaci, cos'è, come funziona una fabbrica, come lavori, cosa fai.
Gaspardo era un 'mastro', cioè un muratore in grado di tracciare muri e costruirli; aveva lavorato parecchio nelle valli e per questo era stato chiamato dal Beccuti, che era colui che per conto del Cardinale della Rovere seguiva i lavori.
Cominciò a raccontare.
"Il posto l'avete visto anche voi, a Torino, noi normalmente andiamo a vendere le verdure sotto la porta palatina e non ci avventuriamo oltre; più avanti, un po' a sinistra e prima di arrivare a porta Fibellona, ci sono tre chiese. Ma non sono tre chiese separate; cioè, mi hanno detto che erano separate, ma poi col tempo si sono unite. Quindi pensate a tre chiese, una a fianco all'altra, che poco alla volta nel tempo si estendono sia tra di loro che, con i portico, in avanti; in modo da costruire un portico unico e una chiesa grande e unica perchè tutti i lati comunicano tra loro.
La chiesa di mezzo è quella del Precursore, di San Giovanni; quella alla sua sinistra è san Solutore in ricordo dei primi martiri cristiani, quella a destra santa Maria del Dompno, che vuol dire del Signore.
L'interno è un dedalo: si può entrare da una parte e uscire dall'altra. Inoltre al fianco sinistro di san Solutore e a quello destro di santa Maria hanno costruito dei chiostri; quindi tutto è coperto da chiese e chiostri. Poi, dietro a queste tre.. ci sono zone.. strane."
"Ma non c'è il palazzo del vescovo lì?"
"Si, c'è anche il palazzo del vescovo, e dei cimiteri, e poi c'è il chiostro del Paradiso, e poi c'è la Sapienza. Sapeste che roba..."-
L'uditorio cominciava ad essere molto curioso e interessato. Donne e uomini e bambini si stringevano intorno a Gaspardo, qualcuno gli versava un bicchiere di vino, la sera era tiepida.
"Dai, racconta."
La Sapienza è un ambiente molto grande. Ha le finestre alte: tutte con i vetri. E' divisa in sezioni da muriccioli poco alti; ha una parte centrale che è una spece di rialzo largo, come se dovesse ospitare un altare, e libri, libri, tantissimi libri. C'è anche un forno, forse fanno del pane, e molte bottiglie e bottigliette dalle forme strane; boccette, contenitori."
"E chi sta lì?"
Poche persone ho visto da quelle parti; quasi sempre un uomo con la barba poco lunga e un mantello fino ai piedi. A volte è invece accompagnato da molte persone, una decina, sembrano sapienti, o saggi, e parlano lingue che non conosco. La notte di san Giovanni ero lì a controllare i puntelli, ho visto una luce nella Sapienza e sono andato a vedere.
Nella parte centrale, quella rialzata, c'erano tante candele,per terra, a costruire un cerchio largo più o meno come tre uomini distesi. In mezzo al cerchio, si muovevano delle figure. Dapprima non ho distinto chi fossero, poi ho visto; una era l'uomo con il mantello. L'altra era una donna."
"Una donna!! Lì!, nell'"insula episcopalis", non la chiamano così? Una donna!" Esclamo una delle mogli. " E cosa facevano? Si accoppiavano cantando i salmi?". Tutti risero un po'.
"No. La luce delle candele li illuminava dal basso; sembravano molto concentrati, seri, e sereni insieme.
Gli occhi di lei brillavano dolci; li intuivo alla luce tremolante delle candele, mi si fecero sempre più vicini, sempre più chiari; quegli occhi color nocciola nonli dimenticherò più. Anche lo sguardo di lui era intenso e fisso negli occhi di lei.
Ad un certo punto..."
Si fermò, non sapendo se continuare il racconto; c'era il messo Medichino, poteva riportare chissà cosa.
Il suo amico Stefano versò un bicchiede di vino al messo, e uno a Gaspardo, e lo pregò di continuare.
Riprese il racconto.
"Entrambi avevano vesti lunghe; sembravano vesti regali, come se fossero un re ed una regina. Da lontano si sentivano i cori della messa della notte da san Giovanni e sentivo i brividi salirmi dalla schiena"
Stefano disse: " anche le donne a quell'ora la notte di san Giovanni avevano i brividi!" e tutti risero per un attimo, poi puntarono lo sguardo su Gaspardo.
"Si guardarono negli occhi per un po'. Poi entrambi si chinarono e presero un fiore con la mano destra.
Cominciarono una specie di danza descrivendo un cerchio a piccoli passi; sempre uno di fronte all'altro.
Alzarono le mani, come il parroco quando recita il paternoster nella messa; poi mossero entrambi la sinistra, e la strinsero l'uno con l'altra. Esattamente in quel momento dalle candele si levò una specie di fiamma rossa che durò un istante. Poi, sempre ruotando piano, forse nell'altra direzione non ricordo, alzarono i fiori; erano delle specie di tulipani, con il gambo molto lungo, li tenevano con la destra e lentamente chinarono i fiori in modo che si toccassero tra loro in alto; nel momento stesso in cui i fiori vennero a contatto si levò dalle candele una seconda fiammata rossa."
"E poi?"
"E poi sono caduto con un gran frastuono! Li stavo guardando aggrappato ad una finestra, sono scivolato e mi sono fatto anche male!"
"NOOOOOOO dissero tutti, non puoi lasciarci così!!"
Tutti ridevano e ricominciavano a bere, allegri.
" Ma li hai ancora visti quei due? "
" Sì, li ho visti ancora, una notte in san Giovanni";
"In san Giovanni! Di notte! Un'altra danza?!?"
Stefano gli versò un altro bicchiere, ormai forse ne aveva bevuti troppi, ma gli occhi che aveva davanti chiedevano spiegazioni, racconti.
La notte era scesa, le stelle luccicavano, gli animi erano allegri.
"Era la notte dopo quella di San Giovanni, mi ero fermato per parlare con gli scalpellini di Maestro Meo, quelli che erano arrivati da Roma con una mula. Erano arrivati tardi, ma avevano voluto vedere il cantiere, così li ho accompagnati a visitarlo; poi li ho accompagnati al loro albergo. Passando lì vicino ho visto dei piccoli bagliori in San Giovanni, quindi dopo sono tornato a vedere."
Stranamente c'erano delle guardie alle porte; probabilmente se mi fossi fatto riconoscere mi avrebbero fatto entrare; ma ho utilizzato qualche passaggio che conosco per entrare in San Giovanni da una porta laterale.
Quando sono entrato sono rimasto senza fiato.
La solea era tutta segnata da candele ai lati. L'avevo appena aggiustata: la solea è un percorso, una pedana sopraelevata che parte dal presbiterio, dall'altare, passa in mezzo ai banchi, e consente ai prelati di scendere in mezzo al popolo senza dover abbassarsi al loro livello; una specie di molo che passa attraverso la chiesa.
L'uomo era di nuovo vestito con il manto regale e stava percorrendo la Solea, a partire dal fondo e andando verso l'altare.
Dall'altare venne la donna. Era bellissima, splendida nel suo manto azzurro, regale nei suoi passi; di nuovo quegli occhi dolci e sicuri mi stordirono.
I due si avvicinarono poco alla volta, si congiunsero esattamente sotto la cupola, dove le candele formavano un cerchio e a terra c'erano i fiori pronti ad essere utilizzati come l'altra volta.
Quando si avvicinarono mi accorsi che una musica stava suonando, e forse anche un canto; tra le chiese di san Giovanni e quella di san Solutore c'era un grande organo a canne che le serviva entrambe essendo esattamente nel divisorio; il pensiero mi tranquillizzò, qualcun altro stava seguendo questa strana cerimonia, suonando e cantando.
I due si avvicinarono; questa volta i manti regali splendevano ancora di più grazie alla maggiore luce.
Cominciarono la stessa danza; anche questa volta le due fiammate rosse si sprigionarono dalle candele ma si trasformarono salendo in alto e diventando azzurrine; sembrava per un attimo che esistesse una colonna di fuoco sopra di loro che in alto era azzurro intenso, diventava rossa e poi gialla intorno a loro per scendere sotto e diventare marrone e viola, a costruire una colonna verticale.
Unirono le sinistre, unirono i fiori; prima di andare avanti, scollarono un po' le spalle a scostare i mantelli, tuffarono gli occhi uno nell'altro.
Entrambi portarono la mano alla spilla che unisce i bordi del mantello al collo; pensavo se lo stessero togliendo.
Intanto la musica saliva. il canto si innalzava più alto.
Lui disse una parola.
Lei rispose con la stessa parola.
Ho letto dalle loro labbra qual era".
"E che parola era?"
"Septingenti".
"Comeseptingenti? E che vuol dire?"
"Significa settecento".
"E allora? perchè settecento?"
"E che ne so? Questo dicevano, prima che prendessi il più grande spavento della mia vita"
"Spavento?? Ma cos'è quest'avventura?? Incredibile. Racconta racconta racconta!"
"Li vedevo di sbieco, e volevo vederli meglio. Allora ho deciso che sarei andato a vederli dalla balconata dell'organo; i cantori e l'organista non avrebbero potuto vedermi, conosco bene quella balconata, mentre io potevo sia vedere loro che la coppia 'regale'.
Così, facendo piano sono salito curandomi di non essere visto, mi sono accucciato, e finalmente ho potuto guardare; e lì ho preso, cari amici, come dicevo, il più grande spavento della mia vita.
L'organo suonava da solo.
I tasti scendevano come se fossero mossi da dita invisibili; i registri si muovevano tirati e spinti da... nessuno.
Non solo questo mi spaventò.
Dalle canne, usciva un canto, una voce.
Voce umana."


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