Krueger

i ruggiti dell'anima

di Leo Altoriso

7 - la donna sulle scale del Tempio

Una immagine lo colpì, una immagine del passato che restò in testa vivida, per tutto il giorno.

Krueger non sapeva che dire; non sapeva perchè fosse così forte in lui.

L'immagine apparteneva al suo passato, nel periodo in cui era stato curato a Montecassino.

Due anni, tre mesi, sei giorni passati lì.

Era una immagine semplice, registrata in un giorno d'estate; l'aveva dimenticata in qualche recesso della mente, e ora tornava prepotente; perchè?

Il vaso, le colonne, le scale, il tempio. La donna saliva le scale nella sua tunica nera.

Viveva in una comunità in boschi ombrosi vicino all'abbazia; ne aveva ricordi umidi di dolore e strappati dalla mente come se non gli appartenessero più; era stato accolto insieme ad altre persone, per lo pià monaci, a cui il mondo andava stretto e la ragione ancor di più, arma insufficiente per dar pace ai tormenti dell'anima.

La comunità era diretta da una specie di rettore, o di abate, o di capo spirituale; pur avendo tutte le caratteristiche di una comunità religiosa, non lo era in senso stretto. Convivevano monaci, astrologhi, scienziati e saltimbanchi, uomini e donne; sembrava che il denominatore comune fosse quello di avere qualche rotella fuori posto.

Seguivano una loro Regola, il tempo veniva scandito dalla liturgia delle ore; lodi, ora media, vespri e compieta si succedevano e vedevano tutti i partecipanti riuniti intorno ad una preghiera che ognuno, a suo modo, proponeva.

Li guidava l'abate, che tutti quanti chiamavano il Grande Gommista, perchè nelle ore libere andava nell'officina sottostante la comunità a lavorare come gommista.

Il Grande Gommista aveva un ruolo chiave: a seguito delle preghiere riusciva a collegare lo scienziato con l'astrologo e a tutti gli altri, leggendo nel cuore di ognuno la purezza dell'intenzione e comunicandola ad alta voce a sè stesso e, di conseguenza, agli altri, costruendo in questo modo una comunità di cuori.

Era stato lui stesso ad accogliere Krueger, leggendo nel suo volto la mente straziata di domande irrisolte; e sempre lui gli aveva detto ora puoi uscire di qui se vuoi, i tuoi dolori ti hanno guarito.

Quello era stato il periodo in cui aveva registrato l'immagine che, ora gli stava rimbalzando in ogni angolo della mente quasi a ricordargli quel periodo in cui i pensieri non erano docili.

Ricostruì la scena.

Abbazia di Montecassino.

In primo piano un vaso, col diametro di qualche metro, alto circa un metro e mezzo.

In secondo piano due colonne; forse ai lati del vaso, forse poco più lontani.

Dietro le colonne una scalinata, alla fine della scalinata la porta di un tempio.

Sulle scale una donna che sale con una tunica nera; i capelli lunghi e la tonaca sono mossi dal vento.

Non potendo darsi una ragione della persistenza di questa immagine lasciò che ne parlasse l'inconscio; aveva un metodo infallibile per farlo parlare.

Prese l'auto della comunità di Torino che lo ospitava e andò in una valle montana, ad Usseglio; lì, da un pianoro, attraversando un ponte, un sentiero s'inerpicava ripido in mezzo ad una faggeta.

Sapeva che la salita gli avrebbe tolto il fiato e l'incedere costante e ritmato dal battito cardiaco e dal respiro avrebbe intrappolato la mente lasciando libero l'inconscio.

La faggeta, con i suoi fusti e le chiome altissime, con il sottobosco rado e pulito, gli comunicò lo stesso austero rispetto del luogo di una cattedrale; ricordò i suoi studi sulla simbologia del luogo profano e del luogo sacro, che nasce da radura in mezzo agli alberi e diventa chiesa con colonne e volte, della pietra che diventa altare e... e basta, la mente doveva essere lasciata sgombra per lasciar parlare l'inconscio.

Capitò come se fosse una illuminazione, e si stupì di non essersene accorto prima; quella donna sulle scale era quella della visione, quella con cui scambiava la sinistra.

Anzi, la donna sulle scale faceva parte della sua visione; l'unica differenza era che la visione era totalmente al di fuori del suo vissuto mentre questa immagine della donna sulle scale faceva parte della sua vita.

Sentì confluire i significati; visione e realtà tangibile formavano un unico pensiero.

Quando se ne accorse, la prima domanda fu di chi fosse la regia di tutto ciò; avrebbe voluto avere ancora il Grande Gommista a disposizione per parlarne, ma non era possibile.

Si sedette su una roccia nel bosco odoroso dei profumi dell'estate e fece quello che gli aveva detto: quando vuoi parlarmi, siediti e chiedi, la risposta arriverà.

Seduto, chiuse gli occhi e si immaginò il viso pacioso del Grande Gommista davanti e gli chiese che avrebbe dovuto fare; la risposta arrivò immediatamente, quasi mentre stava proponendo la domanda: segui la visione, se viene a te un motivo ce l'avrà.

Così si immagino in quell'attimo in cui l'aveva registrata e la seguì ricordando.

Guardava quella donna salire le scale.

Solo un attimo, uno sguardo fuggente, un lampo; ma gli occhi rimasero qualche istante in più del dovuto. Le ciglia si aggrottarono un po' di più del normale.

Invaso.

Si sentiva invaso da quella scena; il vestito nero, come una tunica, scendeva sui fianchi; il passo si apprestava a salire la scala.

Le colonne, le scale, il mare di bronzo.

"Unisci il maschile e il femminile e troverai quello che cerchi", il culto delle sacerdotesse.

Maria la Giudea.

Troppe cose, troppe, gli giravano in testa e quell'attimo stava durando troppo; doveva distogliere gli occhi da quella femmina.

Un altro gradino.

Le colonne doppie, le colonne del tempio di Salomone; messe lì all'ingressoa segnare la distanza tra i solstizi, centrandosi a fuochi progressivi nell'avvicinarsi al Santissimo.

Montecassino: distrutto e ricostruito, non era possibile che chi l'avesse fatto conoscesse; eppure la forma era quella; la mente rigurgitava reminiscenze ad indagare quel mistero.

Le colonne, i guardiani, il limite, le colonne d'Ercole. Spesso le avrebbero dotate di leoni per marcare la distanza: attento, entri nel mistero, entri nello spazio sacro.

Colonne, poi scale: entri, e stai salendo sul monte, ti avvicini al Santo, sali; non tutti possono farlo, l'accesso è solo per chi oltrepassa le colonne, solo per chi doma i leoni.

Era tutto così chiaro nei ricordi; così evidente.

Un altro gradino; la tunica nera svolazzava nella brezza estiva, accarezzando le forme della donna.

Stava diventando tutto chiaro, poco alla volta; la mente tornava alla sua alba ancestrale, quando venivano date le istruzioni per costruire il tempio di Salomone.

Prima cosa, le due colonne: l'osservatore ne segnava la posizione da un punto fisso notando la posizione del sole nei due solstizi; tra l'osservatore e la metà tra le colonne veniva a trovarsi l'est perfetto, in cui il sole si trovava negli equinozi. Lì, nelle cattedrali romaniche, verrà posto l'oculus dell'abside.

Dietro le colonne, le scale; per accedere al santissimo, e poi ancora scale, e veli, per arrivare al santo dei santi.

Davanti alle colonne, il mare di bronzo, la meraviglia della conoscenza, il collegamento tra l'uomo e la conoscenza di Dio.

Era una vasca di bronzo, larga tra i quattro e i cinque metri; la profondità era irrilevante, ma era posta ad una altezza più alta di un uomo.

Ai quattro angoli intercettati dai punti cardinali, tre buoi per ognuno, a significare le quattro triadi che incarnano il mondo: le stagioni, i mesi, i segni.

Il bordo era istoriato di graduazioni: trecentossessanta gradi segnati sulla circonferenza.

Tutto intorno un camminamento consentiva di percorrerne la circonferenza.

Si veniva in questo modo a creare una superficie perfettamente tonda e piana di acqua intorno alla quale si poteva girare; il funzionamento era tanto semplice quanto importante.

La notte ci si poneva intorno al mare di bronzo in modo che la stella polare fosse esattamente al centro; in questo modo diventavano osservabili nella superficie liscia i moti dei pianeti e la posizione delle stelle, ed il tempio stesso diventava il luogo della sapienza.

Il tempo, la stagione, le costellazioni, i pianeti definivano la complessità perfettanella quale l'uomo specchia la propria vita riflessa nel cosmo trovando pace alle proprie ansie.

Tutto questo pensava Krueger, vedendo la donna salire le scale; non abbassava gli occhi, ormai da troppi secondi.

Non sbatteva le palpebre, ormai da troppi secondi.

Non respirava dal desiderio, ormai da troppi secondi.

Quel desiderio che era ormai diventato il nucleo della sua vita: tornare a conoscere.

Ricordare.

"Unisci il maschile e il femminile e troverai quello che cerchi".

Una donna aveva oltrepassato le colonne, stava salendo le scale; si portava verso il Santissimo, verso l'incrocio dei mondi.

Ricordi vecchi di millenni, risalivano come se fossero d'infanzia.

Le colonne, le scale, il mare di bronzo. Il Tempio, il Tempio, l'arca dell'alleanza.

Reminiscenze troppo struggenti da sopportare; abbassò gli occhi.

Ringraziò quella fugace visione e la immaginò salire le scale del Santo dei Santi, oltrepassare il velo, alzare le braccia all'incrocio dei mondi, diventare l'incrocio dei mondi.

Ad occhi chiusi, indossò quella donna immaginata; gli occhi a levante, la nuca a ponente le braccia aperte a misurare la distanza tra il giorno e la notte, dal profondo dei piedi che pescavano nella cripta dei morti all'alto del capo che usciva dalla tunica di questo mondo per librarsi nei cieli, il lungo corpo a definire verticale il bastone della potenza, la frusta di Dio.

Gli occhi chiusi di lei negli occhi chiusi di lui; si sentì diventare luce e, questa volta, fu obbligato ad aprire gli occhi tanto era insopportabile vivere queste sensazioni.

Aprendo gli occhi, si rese conto con certezza che tutto questo gli sarebbe successo presto.

Ritornando a valle, i pensieri s'erano fatti più sereni; non aveva avuto risposte ai suoi dubbi, ma ora le domande erano più chiare.

La discesa lasciò ancora l'inconscio libero di parlare; Krueger non potè non notare che, curiosamente, la donna conosciuta in chiesa faceva capolino di tanto in tanto nei suoi pensieri.

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