Krueger

i ruggiti dell'anima

di Leo Altoriso

La Table de Viviane

"Guarda che ce l'ha quello con la giacca blu, l'ha appena messo nel taschino."

"Ma sei sicura? Hanno detto che era solo a livello sperimentale, che non si poteva ancora avere in commercio."

"Ce l'ha lui, l'ho visto, l'ho riconosciuto, l'ho visto in tv; quella forma oblunga, sembra una specie di biro, con alla fine due puntine di ferro."

"Giada, sei la mia cameriera da anni. E' vero che ti ho sempre trattata bene?"

Giada guardò il suo capo, un omone grande e grosso, che a volte le aveva fatto paura, specie all'inizio.

"Beppone, a volte mi hai un po' spaventata, agli inizi."

"Ma poi ti è passato vero? Ora non più?"

"Vero, ora non più, ho imparato a conoscerti, so che sei irascibile ma con me sempre buono."

Beppone tirò un sospiro di sollievo.

Era una comitiva di trentacinque persone e uno di loro poteva avere l'arnese.

Anche lui ne aveva sentito parlare, dell'arnese; sembrava impossibile che lo realizzassero, sembrava irraggiungibile; evidentemente con qualche diavoleria elettronica erano riusciti a costruirlo.

Ne aveva parlato con i suoi colleghi ristoratori; "Se lo producono è la fine", diceva qualcuno, altri invece dicevano "No, questo è l'inizio, ci voleva, ora vediamo chi sa lavorare."

Tutto era cominciato pochi mesi prima, molto lontano, negli eleganti tavoli dirigenziale di una mega-company statunitense, si parlava di una fusione importante.

Sul tavolo due soluzioni, una antitetica all'altra.

Una proposta da una donna, l'altra dall'uomo.

Aveva vinto la donna.

La fusione del secolo, l'avevano chiamata.

L'uomo non era abituato a perdere; la sua proposta era chiaramente economicamente migliore, come poteva aver vinto la donna? Quali armi aveva utilizzato?

Così, a decisioni prese, appena fuori dalla riunione, chiese ad uno degli azionisti cosa l'aveva fatto votare per lei.

"Vedi, è semplice. Guardala. Ha ragione, è chiara, spiega le cose bene, è luminosa; si vede che conosce la materia. Io non posso conoscere tutti i numeri; ma la direzione che ci ha indicato mi sembra buona. La tua era sicuramente corretta, tecnicamente, magari anche vantaggiosa; ma non 'sapeva di futuro'; le sue parole, invece, odoravano di sano, di possibilità".

Chiese ancora ad altri: stesse risposte, più o meno, una fiducia incondizonata in quella persona.

Decise di parlare alla donna; la trovò straordinariamente radiosa ed elegante, motivo in più per rimanerci male al rifiuto ad un invito a cena.

L'uomo aveva ormai una certa età ed aveva finito si essere caparbio; sapeva che prima o poi i nodi vengono al pettine e se ne andò a testa bassa.

Lo incrociò un collega dello staff avversario, con cui aveva lavorato anni addietro.

"Hey, che viso triste... non te la prendere, lo sai che capita."

"Si, vero, capita. Devo ritirarmi per meditarci un po' sopra."

"Meditarci? Andiamoa berci una birra, piuttosto."

"No... un'altra volta."

"Ok va bene, ma via quel muso... questa volta non potevi vincere."

L'uomo alzò il livello di attenzione.

"Come non potevo? Nonsembrava buona la mia soluzione?"

"Si, certo, ma lei aveva un'arma che, evidentemente, tu non conosci."

"Cioè?"

Il collega rispose con un sorriso.

"Cioè? Non ho capito, spiega!"

Il collega capì di essere andato un po' oltre; ma l'uomo era un amico, ed il 'segreto' non era poi così tanto un segreto, la voce si stava diffondendo.

Così lo prese in disparte e i due si appartarono sul divanetto di un bar.

"Adesso mi spieghi cos'aveva."

"Beh... ti sembrerà una cosa stupida, per cui non te la prendere con me. E poi fai finta che non te l'abbia detto, siamo concorrenti."

"Va bene, parla."

"Lei è arrivata stamane dall'Europa."

Il collega aspettò per vedere segni di comprensione sul viso dell'amico.

"E allora?"

Proseguì, sperando che qualche voce gli fosse arrivata.

"Dalla Provenza; ieri era là."

"Mi stai prendendo in giro? Cosa c'entra?"

"Come, non sai proprio nulla?"

"Nulla di cosa?!?"

"Ha cenato alla Tavola di Viviana."

"La smetti di prendermi in giro? Cosa vuol dire? Cos'è questa tavola? Cosa c'entra con la fusione?"

"Vedo che proprio non t'è arrivata alcuna notizia in merito.La Tavola di Viviana è un ristorante, in Provenza, nella Francia del Sud. Sembra che le persone che pranzano lì per qualche tempo stiano molto bene, diventino quasi luminose, e nel parlare, nel consigliare del comunicare in genere diventano dolci, credibili, convincenti."

"Ma che stupidata!"

"Sì, una stupidata che ha fatto perdere al tuo cliente qualche milione di dollari."

La Tavola di Viviana era un ristorantino sulle colline della Provenza; la proprietaria, Viviana appunto, gestiva il locale aiutata da due ragazzotti, un maschio ed una femmina, ed un cuoco.

In una vita precedente Viviana aveva accumulato denaro; nessuno sapeva bene come.

Arrivata ai cinquanta decise di averne abbastanza e aprì questa locanda curandone l'arredamento, le forniture e, soprattutto, il personale.

Viviana aveva un modo di fare avvolgente; con chiunque parlasse sembrava prendersene cura, ben al di là delle circostanze.

Soprattutto i due ragazzi ed il cuoco ne erano coinvolti; si sentivano totalmente amati e rispettati da questa donna più anziana che procurava loro il lavoro e spesso si preoccupava anche delle loro esigenze extralavorative.

Non solone erano coinvolti; anche quando parlava con un fornitore, Viviana si preoccupava prima della persona, poi dei prodotti; tanto che molti uomini pensavano che li stesse filando, ma presto si accorgevano che le attenzioni non erano in quella direzione.

Così dopo qualche anno anche i fornitori diventarono amici, e passavano da Viviana anche oltre gli orari delle consegne.

I prodotti che portavano erano sempre i migliori a disposizione ed i più freschi.

Gli occhi calmi di Viviana, la bontà del cibo, l'allegria dei due ragazzi, il pacioso lavoro del cuoco fischiettante nella cucina a vista e la calma delle colline costituivano un ambiente tranquillo in cui molti volentieri si fermavano per un pranzo o una cena.

Certo in molti notarono l'effetto che quei pasti avevano sulle persone, ma solo dopo qualche tempo nacque la leggenda della locanda 'magica', cioè il posto dove nutrirsi per sentirsi meglio.

Nei periodi successivi ai pasti le persone stavano meglio, splendevano; tutti lo notavano, e questo splendore si rifletteva sulle rispettive famiglie e sugli ambienti di lavoro; non ci volle molto perchè tutti capissero come un pasto da Viviana fosse il toccasana nel caso si dovessero risolvere problemi o affrontare situazioni difficili; una specie di cura.

Lo stesso capitò alla donna della riunione di cui vi ho raccontato; cenò qui la sera ed il giorno dopo vinse la sua battaglia per la fusione.

Ora devo dirvi che sono Gerbero Vallanzani e faccio il ricercatore; sono quello con la giacca blu di cui avete letto all'inizio.

Non mi prendete in giro per il nome, a me piace.

Ma per spiegarvi cos'ho nel taschino, e perchè terrorizza l'oste che ho davanti, devo ancora dirvi un paio di cose.

Anch'io avevo sentito parlare di questa leggenda della Tavola di Viviana; vivevo da quelle parti e così, in una bella giornata d'agosto, mi sono seduto sotto le piante della locanda per pranzare.

Cibo senza grandi pretese, ma indubbiamente buono, ambiente cordiale, giornata tranquilla; a dire il vero, nulla di eccezionale oltre ad un diffuso senso di benessere.

Dopo il pranzo, quel giorno avevo lezione, spiegavo fisica atomica in istituto e... finita l'ora tutti i ragazzi sorridevano, addirittura qualcuno mi ha ringraziato per la chiarezza della spiegazione. Normalmente sono abbastanza noioso, lo so, nelle spiegazioni; quella volta invece mi sentii come il mago dei docenti.

Qualche parola con i colleghi.. l'effetto funzionava ancora! La sera a casa con la famiglia... magia! Riuscivo a parlare bene, chiaro, ad essere allegro e fiducioso, a parlare anche di sventure in modo risolutivo e conciliante.

Visto che sono ricercatore, ricerco.

Così sono tornato più volte alla Tavola di Viviana; e ho sperimentato che l'effetto 'magico' in effetti funzionava; a volte in modo più, marcato, a volte meno: ma funzionava.

Un giorno non ha funzionato.

Sono andato, ho pranzato, sono stato servito dalla ragazza un po' più corrucciata del solito e, al pomeriggio, nessun effetto.

Sono tornato il giorno dopo e c'era un cartello, 'siamo chiusi'.

Ho incrociato Viviana che stava uscendo, le ho chiesto il motivo.

Alla risposta che mi ha dato ho dapprima riso un po', poi, di fronte al suo viso serio, ho smesso.

"E morto il gatto della cameriera."

"Si.. certo.. ma se muore il gatto voi chiudete?"

"Si, volevo già chiudere ieri che stava male."

"Come? Chiudete il ristorante per un gatto malato?"

"Certo. Può un fiume 'restare aperto' se non ha acqua? Può un prato 'restare aperto' se non ha erba?"

"EH?"

L'ho guardata bene; aveva un po' gli occhidi una pazza.

Conosco bene quello sguardo.

Ho conosciuto centinaia di ricercatori di tutto il mondo, e conosco bene lo sguardo di chi ha visto oltre; lei aveva quegli occhi.

Ho abbassato i miei, come chi si arrende di fronte ad una potenza superiore.

E ho chiesto: mi dica, mi spieghi, sono un ricercatore.

"Ho aperto un distributore di felicità attraverso questo ristorante; i cibi sono estremamente ricettivi, se le persone che li preparano e li servono sono felici, questa felicità si moltiplica e passa nei cibi che a loro volta la portano ai miei clienti. Semplice. Gatto morto, ragazza infelice, gioco finito. Scusi devo andare."

"Ma aspetti!! Come! Come l'ha scoperto? Dove va? un attimo!"

"Ho passato una vita a dare felicità alle persone, e questo mi ha riempito la vita di gioia. Ho voluto inventare un metodo per darne di più di quella che posso regalare singolarmente. Col ristorante sono riuscita. Torni dopodomani, dopo i funerali riapriremo e le dirò di più."

Che donna! Incredibile! Che forza!

Che... roba impossibile, ma che dice, che vaneggia? Erogare felicità! Come fosse un distributore! Col cibo! Che baggianate!

Ma... e se fosse vero? La maggior parte delle scoperte scientifiche sono state fatte da chi ha smesso di credere alle certezze.

Così nei giorni successivi ho fatto il ricercatore della felicità; ho utilizzato metodi scientifici per cercare di trovare se la felicità fosse presente nei cibi.

Naturalmente non ne ho parlato con il mio capo, nè ho pensato di pubblicare i miei studi.. mi avrebbero tutti presi in giro.

Dal punto di vista scientifico qualcosa esiste se ha un effetto misurabile; sono partito da questo punto e ogni tanto prendevo qualche cibo dalla locanda e lo portavo in laboratorio, procurandomene un altro identico da confrontare. Sono riuscito anche ad averne qualcuno dallo stesso fornitore della locanda, proveniente dalle stesse origini.

Ho piantato un paio di elettrodi nei due cibi e ho provato a registrare le microcorrenti che potevano formarsi, oppure ad iniettare segnali a diversa frequenza e ampiezza d'onda, ma non ho avuto risultati.

Da qualche giorno abbiamo a disposizione in laboratorio potenze computazionali enormi, messe a disposizione da un progetto europeo; tramite rete, possiamo accedervi.

Le ho usate in questo modo: ho inviato nei cibi segnali di diversa fequenza e modulazione varianti per valori discreti ed incrociati in modo semicasuale e ho registrato eventuali microcorrenti che potessero generarsi in risposta.

Ho registrato dati per due giorni per mille variazioni al secondo, con tutte le possibili combinazioni che sono riuscito a generare.

Quindi ho impacchettatto il tutto in un set di dati elaborabile dai supercomputer.

Ho aspettato la tarda sera quindi ho messo insieme tutta la potenza che avevo a disposizione: 15000 CPU per 12 TeraFlops, gli ho dato in pasto il set di dati, l'ha elaborato per 25 secondi e mi ha dato la risposta.

La risposta era positiva: effettivamente poteva esistere una combinazione di segnali che iniettata stimolava nel cibo 'felice' una reazione diversa dal cibo 'campione'.

Quella notte l'ho passata in laboratorio.

Ho lavorato sui dati e scomposto la sequenza di frequenze 'discriminanti', quelle che davano risposte diverse nei due cibi.

Il segnale disriminante era composto da una dozzina di frequenze diverse nello spettro udibile.

Me lo appuntai su un foglio: sono 'una dozzina di frequenze diverse nello spettro udibile'.

Osservai il foglio e poi mi guardai allo specchio e mi misi a ridere; i ricercatori si perdono sempre in un bicchier d'acqua!

'Frequenze dello spettro udibile'!! Note, sono note!!! Note musicali, che scemo!!

Ne feci un file WAV musicale, indossai le cuffie e ancora un po' cadevo a terra dallo stupore a sentire quelle dodici frequenze

Mi sarei aspettato di tutto ma... "fra Martino campanaro!!!" com'era possibile?

Eppure... la prova sperimentale funzionava: iniettando nel cibo quella serie di frequenze quello 'felice' rispondeva, l'altro taceva.

Indagando, scoprri che in genere qualsiasi buona musica iniettata nelcibo 'felice' dava reazioni che non erano presenti nel cibo campione.

Avevo inventato il... misuratore di felicità nei cibi!

Da allora ho provato e riprovato: funziona.

Non c'è ancora uno sviluppo industriale, ma qualche testata giornalistica se n'è interessata; prima come scoop, ora più seriamente.

Ciò che è successo dopo, è stato incredibile.

Il misuratore è stato dapprima messo a disposizione per i laboratori di misura; il sistema di rilevamento delle microcorrenti è molto complesso e costoso e quindi solo i grandi laboratori potevano averlo.

Qualche albergatore, fiutato l'affare, ha voluto fare misurare i propri cibi; cibi che, in qualche caso, effettivamente rispondevano positivamente come 'contenenti felicità'.

A questo punto risultò facile a qualcuno pubblicizzare il proprio 'ristorante felice' ed avere molti clienti.

La situazione per questi ristoratori è oggi però totalmente precaria; è difficile avere del cibo felice perchè ci vogliono fornitori felici e personale felice, e basta un nonnulla per rovinare la catena della felicità;se, per esempio, una cassa di limoni pur biologici e naturali viene presa a calci dall'addetto di un magazzino, sarà quasi impossibile trasformarla in cibo felice, ed il succo contaminerà gli altri cibi.

Se un cameriere è sottopagato o trattato male, sarà impossibile che possa servire cibo felice; anzi, rischia di rovinare il cibo felice esistente.

In un primo tempo i 'ristoranti felici' erano carissimi; ma non sono sopravvissuti, non è solo un detto che 'il denaro non dà la felicità'; se n'è avuta dimostrazione.

Tutto il settore è in subbuglio; tutti i clienti vogliono cibo felice, e se i misuratori portatili diventeranno una realtà, ci si aspetta una rivoluzione nella modalità di somministrare alimenti.

Allo stesso tempo gestire un ristorante diventa una professione di una raffinatezza indicibile; non solo la capacità culinaria, ma psicologia e saggezza diventano doti necessarie.

Qualche ristoratore se la ride, e continua a fare affari perchè da sempre offre cibo felice; altri.. non ridono.

Ora sto testando il primo dispositivo portatile prodotto... e quindi capite perchè l'oste è così preoccupato... e perchè lo sguardo di Viviana mi è ancora così impresso nei ricordi.

[ la locanda La Table de Viviane esiste, è all'indirizzo riportato nella geolocalizzazione della foto]