Krueger

i ruggiti dell'anima

di Leo Altoriso

labrador

[foto da experiencenl.com]

E' bellissimo girare da queste parti; la luce, le fotografie sono perfette, il lavoro viene bene, come avevamo previsto.

L'abbiamo deciso insieme; partire per questo lavoro, e stare lontani, non stringerci, non scambiarci il corpo.

Ce lo siamo detti l'unica sera che ci siamo veramente parlati, dopo anni di conoscenze e incontri fortuiti.

Ma oggi, su questa nave, in questa sera, così lunga e luminosa, fa male pensarlo; un male fisico, il non averti.

C'è gente sana e bella, in questa spedizione; gente con cui si può parlare. Quando scendiamo conosciamo altra gente sempre diversa, sempre interessante; in ogni posto trovo angoli buoni da fotografare, luci intriganti, paesaggi che raccontano.

Dietro ogni inquadratura, ogni messa a fuoco, ogni composizione, lì, proprio dove ci sono le linee che dividono l'immagine in terzi, e si sovrappongono all'inquadratura, proprio lì, ogni volta, prima in modo indistinto poi via via sempre più chiaramente, mi appaiono i tuoi occhi.

Così quando scatto ogni foto ci sei, ogni volta, e ad ogni inquadratura mi guardi.

All'inizio pensavo fosse la macchina fotografica, così ho cambiato il corpo; una, due, tre volte. All'inizio le piccole differenze, la retinatura diversa, mi facevano sembrare tutto nuovo, pulito, così che riuscivo di nuovo a concentrarmi sulla foto.

Poi, ogni volta, poco per volta apparivano i tuoi occhi; prima lontani, come se fossero solo frutto dell'immaginazione, poi più chiari, finchè diventavano una specie di riferimento; appena sopra la linea dei terzi superiore, lì, uno nel primo e uno nel terzo quadrante; un po' alla volta acquistavano definizione, contrasto, saturazione; prendevano colore, fino a diventare marrone dolce, nocciola.

All'inizio mi disturbavano; pensavo di non fare bene il mio lavoro, distratto in quel modo.

Dopo aver cambiato più corpi macchina e aver visto le foto, ho capito invece che le ultime foto fatte con ogni macchina erano le migliori; perchè lì c'erano i tuoi occhi, perchè le foto le avevamo fatte insieme.

Adesso, che l'ho capito, non cambio più macchina; anzi, faccio in questo modo: quando ho l'inquadratura esatta, proprio quella che voglio, prima di scattare mando tutto fuori fuoco, in modo che rimangano solo le righe di riferimento, ed i tuoi occhi.

Lì, ti sento; e parlo con te, discuto della foto.

Poi, un po' alla volta, regolo il fuoco manualmente portando piano piano l'immagine ai suoi dettagli; se in questa operazione i tuoi occhi rimangono caldi, chiari, se continuano a guardarmi, allora scatto, perchè sarà una buona foto; se invece ho una impressione di perdita, di stonatura, lascio perdere, tanto non verrà fuori una gran foto.

Mi manchi immensamente.

Fa freddo da queste parti, sempre.

Ho sempre un buon sentimento quand'è ora di coricarsi; il rollio della nave, le stelle pulite, pure al freddo la mia cuccetta nella cabina è calda di coperte, mi ci rannicchio e mi abbandono ai misteri dei mondi dei sogni.

Penso al tuo corpo, penso ad un ambiente ampio e caldo, alla brezza nelle sere d'estate, al tuo paese caldo di petre bianche, alle carezze delle tue parole, a quelle delle tue mani, penso ad abbandonarmi a te.

A volte mi lascio andare al sonno sorridente, in altre un velo di malinconia m'avvolge, questa distanza dei nostri corpi a volte mi pesa e rende lunga la notte.

L'unico pensiero che mi lenisce è che arriverà il mattino, arriverà la luce: con essa di nuovo la possibilità di prendere in mano una macchina fotografica e mettere a fuoco i tuoi occhi.

A queste longitudini, domani sarà l'epifania, la festa della donna magica.

Auguri, donna magica.