occhi di mango

Ecco, l'avevo pensato subito quando ho visto quegli occhi: mai cadere negli occhi del colore di un frutto quando in testa hai l'oriente.
Perchè poi capita che ogni volta che vedi quel frutto, ti senti strano e le cose non quadrano, e finisci in paesaggi di giada con le gru che volano lente intorno al palazzo imperiale.
Cercherò di essere più chiaro.

Innanzitutto il mango è verdegiallorosso, ed è difficile trovare qualcuno con gli occhi così, a meno che non li guardiate bene, e a me era successo di guardarli bene andando al MAO, il museo d'arte orientale di Torino, perchè lì ci passo i miei dopopranzo da qualche settimana.
Vado, giro, ormai chi ci lavora mi conosce e  mi saluta: anche oggi qui, buona visita, che stanza ha scelto? Ci vado perchè è bello.



E' bello stare nel giardino zen all'ingresso, è bello girare per le stanze, è bello rimanere coccolati da queste enormi incredibili saggezze che aleggiano intorno; l'arte orientale, poi, ha un fascino che noi occidentali viviamo per nostalgia, per mancanza, come se ci mancasse qualcosa che li c'è.
Comunque la ragazza dagli occhi di mango era lì, con altre persone, e ho incrociato i suoi occhi perchè mi si è sfracellata la borsa con i  libri e le cose a terra e lei mi ha aiutato a raccoglierli. Sì, sfracellata, proprio all'ingresso; già era di tela consunta, è bastato un peso in più, uno strattone un po' più forte, e tutto s'è rotto ed è rovinato sul terreno di pietra dell'ingresso.
Lei mi ha aiutato, gentile, a raccogliere i libri e le cose, che per lo più erano stampe di siti, appunti, disegni, fotocopie che mi aiutano a capire quello che vedo nel museo.
Capire non è giusto, perchè non è quello che faccio; ora cerco di spiegare quello che faccio.
Quando vedo qualcosa che mi attira, come il giardino zen o il budda sdraiato (lo a-d-o-r-o, quello del Mao) cerco ovunque qualcosa che ne parli o che gli sia affine. Ma non per saperne di più, non per capirlo; per fare compagnia all'idea che ho di lui. Cerco compagni di gioco, amici per quell'idea.
Faccio un esempio: il budda sdraiato è orientale, sdraiato, d'oro, con gioielli, sinuoso, sembra senza sesso o con tutti i sessi. Allora cerco in rete, nei libri, nei negozi, nella musica, nei film, ovunque cose che  in qualche modo c'entrino con tutto questo e ne faccio una raccolta: nastrini dischi file stampe ricordi biglietti giochi musiche eccetera, metto tutto in borsa.


Poi vado lì, di fronte al budda sdraiato, e tiro fuori tutto; mi piacerebbe avere un tavolino e sistemare le cose lì, come fosse un altare, ma non posso farlo; allora tengo tutto in mano, guardo tutto, penso a tutto, davanti al budda sdraiato; e tutto questo mi dà una sensazione nuova, le idee si fanno compagnia e festeggiano, si corteggiano, sfilano una dietro l'altra e poi danzano. A volte più, a volte meno; dipende dai giorni e dall'atmosfera e dall'umore e dai custodi e dai transiti di Mercurio in quadratura di Saturno o chissà cos'altro, comunque è sempre diverso, ed è per questo che quando vado al MAO ho sempre borse strapiene; che, a volte, ingloriosamente, si sfracellano al suolo.
Ed è aiutandomi a raccogliere un ciondolo di plastica a forma di Saturno (l'avevo fatto stampare per una missione segreta, ma questa è un'altra storia), ciondolo che mi serviva a guardare i Samurai, che la ragazza con gli occhi color di frutta, porgendomelo, ha incrociato i miei  e ho proprio pensato ora non potrò più mangiare il  mango senza pensare a lei. Chemmenefrega, ho pensato subito dopo, io il mango non lo mangio mai. Menfrega eccome, ho pensato quasi subito dopo; due occhi così non è che li dimentichi e magari può capitare per associazione d'idee che magari mangi un altro frutto, chessò, una pera, e ti viene in mente che è un frutto e che c'è al mondo una ragazza con gli occhi di mango e tac, sei lì incastrato di nuovo.
Intendiamoci, non è che avesse gli occhi rossi e gialli; certo però che nell'iride il verde si vedeva, e si scomponeva ai bordi in colori diversi ed il rosso e il giallo si vedevano eccome.
Era orientale, in compagnia di altre persone orientali. Del resto, ero al MAO.
Io l'ho ringraziata balbettando qualcosa in inglese, e lei m'ha risposto 'figurati', avrei giurato con un accento vagamente piemontese che, se non m'ha spiazzato, per qualche motivo m'ha fatto arrossire, e me ne sono andato procedendo verso l'ingresso intabarrato nel mio cappotto con borse e cose che pendevano ovunque. O così mi sono sembrato.
Oltre alla collezione permanente, in quel periodo c'era una mostra di tappeti; non che m'interessi di tappeti, ma si trattava di una mostra sicuramente ben curata: in ambienti scuri, luci sapientemente dosate illuminavano i tappeti alle pareti o su grandi pedane, sul pavimento, o sulle pareti; i colori fiammeggiavano nel buio, video e musica creati per l'occasione impreziosivano il percorso.
Forse perchè nel pranzo il cibo era particolarmente delicato, o più probabilmente perchè il calice di vino portava saggezze remote, i tappeti hannno cominciato a girarmi intorno all'anima, piano, illuminandola, portandomi in quello stato di conscio distacco fantastico dal reale, quella  'partecipation mistique' degli albori della psicanalisi, il distacco dalla coscienza per muoversi in terreni autonomi, lontani dal reale; nella testa danzano gli indigeni del monte Helgon, respirando dalle palme delle mani aperte al sole, suoni da 'The rhythm of the heat' di Peter Gabriel, reminiscenze degli studi di Jung vagano quiete nei meandri della mente.


In questo stato ho assaporato piano il passaggio dal dettaglio del nodo, del filo, della piccola imperfezione, facilmente notabili ad una visione più grande, allargando l'angolo di apertura della vista per raggiungere gradatamente la visione di tutto il tappeto. Non è affatto facile, contrariamente a quanto si possa pensare, guardare 'tutto' un tappeto. Essì che si pensa e che ci vuole, apri lo sguardo e lo vedi tutto. No, non è affatto così semplice; se si parte da un particolare, lo si nota e poi ci si allarga ad una area più ampia, osservando i nuovi particolari in funzione del primo, e poi ancora in un'area più grande, fino ad avere in mente tutto il tappeto, ecco che allora lo si vede tutto; ma che fatica, e, soprattutto, che bellezza.
Un po' come facevo con le cose nella borsa, affiancando idee ad idee; così erano quei tappeti, idee affiancate, ma non a caso, disposte in modo da formare un ragionamento.
Arrivato a questa visione di insieme ho cercato nella borsa qualche gancio, qualche simbolo, che potesse affiancare il tappeto; ma non ne avevo, erano tutte idee piccine; mi serviva un'idea più grande.
La prima che si è affacciata è quella dell'hortus conclusus, il giardino mistico circondato da un muretto che i monaci coltivavano come concetto di meditazione simbolo del paradiso terrestre; in particolare uno di questi, fisico, visto al municipio di Orta mi si è presentato davanti.
La seconda è stata quella di mandala, sistema grafico simbolico per indicare il tutto, presente in tutte le religioni, in tutti i sogni dei pazzi; i tappeti con la loro simmetria biassiale perfetta, con le quattro o otto direzioni grafiche, riportavano direttamente il concetto.




Mi è venuto in mente un mandala di pietra rappresentato in una chiesa a Abbadia Isola che mi aveva colpito per l'estrema profondità delle linee semplici ed infinite scolpite nella pietra.
Bene, queste due idee, associate ai tappeti, cominciavano a dare un senso a ciò che stavo vedendo; cominciavano ad indicarmi una strada da seguire e, poco alla volta, instillavano in me un senso di riverenza verso queste grandi opere d'arte.

Così ho cominciato a viaggiare dentro un tappeto; il termine 'tappeto volante' assumeva un senso diverso; è si un tappeto che ti fa volare, ma dentro di lui: un tappeto volabile.
Il bordo che cinge i tappeti è una specie di protezione: sono le mura a difesa del centro. Queste mura si interrompono, di solito, nelle quattro direzioni principali, consentendo di 'entrare' nel centro del tappeto. A volte la porta è una interruzione nella continuità del bordo, altre volte è semplicemente un'immagine disegnata sul lato; ed è di lì che si deve entrare.
Da quale delle quattro porte? ognuno deve sentire, nel momento in cui lo guarda, qual è la porta giusta; a nord c'è logica, fermezza, costanza, ad est gioia, nascita, baldanza, ad ovest saggezza, tempo, meditazione, a sud calore umano, spontaneità, solarità. A volte entravo, sicuro, da una porta, altre volte provavo ad entrare prima da una e poi dall'altra, giocandoci un  po', magari spostandomi, cambiando prospettiva cercando di capire come sarebbe apparso il centro di un tappetto arrivando da una parte o dall'altra. Certo, essendo spesso tappeti a simmetria bilaterale una mente matematica pensa che tutto sia identico; ma la matematica e la logica hanno fatto il loro corso e sono state ridimensionate in chi si lascia andare all'emozione. Entrare da sud è tutt'altra cosa che entrare da nord, le stesse cose appaiono sotto una luce (anche fisica!) diversa, ed è un gioco profondo dell'anima figurarsi ciò che appare.
Il quattro, con tutta la sua potenza, ci viene incontro; i quattro fiumi del paradiso, i quattro evangelisti, il quattro come simbolo del tutto; percorrendo prima le direzioni e poi cercando di metterle insieme la mente viene presa da una specie di vertigine, di stordimento, e rimango lì un po' rimbecillito, un po' saturato da questi pensieri, tanto che devo sedermi, e fermarmi un attimo.
Sguardo fisso al tappeto, anzi, per ora ai bordi del tappeto, non ancora al misterioso centro, cerco un punto di riferimento, qualcosa che mi consenta di rimettermi in equilibrio; ripenso all'inizio di tutto, al vuoto, poi al primo punto, l'uno, poi la divisione e lui che diventa il due, per mezzo di loro, cioè di entrambi può nascere il tre attraverso di lui, solo grazie a lui, il quattro compie l'unità, il tutto. Maria la Giudea, quante ne sapeva.
Chissà se pensava ai mandala e ai tappeti, lei; chissà se ha viaggiato, come sto facendo, in un tappeto. Chissà cosa ne pensava la chiesa dei primi secoli (Maria è più o meno del terzo secolo) tutta presa com'era nell'assioma del tre, della trinità, di una femmina, e profetessa, e alchimista per di più, chissà cosa ne pensava del quattro, del quarto elemento: il corpo, la materia, la femmina, il male. Perchè questo è il quarto, ciò che la Chiesa ha negato: il corpo e la materia, negati, la femmina, negata, il male negato perchè semplicemente definito come privatio boni, assenza del bene, senza la dignità di consistere in una essenza 'a sè'.
Penso a quante altre stanze del MAO mi hanno portato a questo; quanto sia glorificato il corpo fisico dell'uomo e della donna (e ripenso al budda sdraiato, qui sopra) , a come venga rappresentato spesso il male con i suoi mostri multiformi, alle rappresentazioni di amplessi, di sorrisi estatici.
Come si fa a volare in un tappeto senza questo? Come si può, da un retaggio occidentale positivista scientifico cristiano 'a base tre' affrontare l'arte orientale che, invece e da sempre, è 'a base quattro'?
Impossibile.
Allora decido che, se voglio affrontare il viaggio nel tappeto, qualcuno mi accompagnerà: la persona che più mi ha colpito oggi, la ragazza dagli occhi di mango.


Riprendo il mio viaggio insieme a lei, e questa volta, passati i bordi, guardando verso il centro, la sento vicina. Entriamo da est, in onore all'oriente, e a questa compagnia appena nata.
Quando entrate in un tappeto orientale, tra i bordi ed il centro, potete incontrare due cose; a volte solo una delle due, a volte entrambe.
La prima cosa che vi può capitare di vedere sono quelli che da fuori sembrano ghirigori o cornicette; in realtà sono specie di labirinti, percorsi obbligati che vi costringono a passare attraverso fiori, piante, onde, mari e chissà cos'altro; con queste fantasie viene indicata la qualità del percorso da compiere verso il centro. Se è un labirinto, sarà un percorso di ricerca; se è uno spazio popolato da forme, dovrete passare ad analizzarle tutte, se è un mare di onde, dovrete navigarlo. In ogni caso si tratta di un periodo di esplorazione, preparatorio per poter affrontare il centro.
La seconda cosa sono i draghi: quattro o nove o cinque o uno, e qui i discorsi si fanno più affascinanti, e pericolosi.
Se sono nove, sono disposti in tre file e tre colonne; quello centrale è il centro del tappeto ed è il drago più forte.
Se sono quattro, sono ai quattro vertici del quadrato, e aggiungono quattro direzioni, portandole ad otto,sulle quali meditare; tra i quattro punti cardinali vengono inserite le vie di mezzo.
Cinque li vedete nella foto sopra.
Se è uno, è al centro ed è grande e fa paura.
Spesso, al MAO, si trovano rappresentazioni spaventevoli; il concetto di base è un po' quello dei sogni, o delle fiabe, nei quali ciò che fa paura è in realtà ciò che ti aiuta; se non lo fuggirai fratello ti sarà cantava Branduardi ne 'il funerale', riprendendo i concetti degli psicopompi che accompagnano le anime (san Michele!), così come i sogni paurosi, gli incubi, sono 'scossoni' che ci portano al cambiamento. Vengono rappresentati su un tappeto per stimolare il viaggiatore a subirne la paura e a riscattarne il valore, in modo da 'conquistare punti' nel viaggio, preparandosi al 'di più' che seguirà. Allo stesso modo i mostri nelle fiabe; fanno paura ma non son lì per spaventare i bambini, ma per far capire che possono essere vinti, superati.

Così viaggio nel tappeto con occhi-di-mango, guardo stupito i labirinti, i fiori e le cose, fino quando arrivo ad un drago, questo è quello di sudest che ci spaventa col fuoco, con la bocca spalancata da cui nascono altri draghi, la coda che abbraccia stritolando, le zampe dalla forza veloce e distruttiva, il viso forte crudele e giovane; tutti archetipi del sud e dell'est, messi insieme in una spaventosa creatura unica. Davanti al mostruoso spettacolo provo una voglia forte di affrontarlo ma... scappo con poco ritegno, cercando strade più sicure per arrivare al centro ma con la coda dell'occhio vedo occhi di mango che sta invece ferma, lì. E per la prima volta mi parla, con la sua strana cadenza. Semplicemente mi dice 'devi farlo', io dico nonono guarda, fuoco e fiamme e che schifo e che denti e poi non ho neanche pranzato son stanco, e magari si passa anche di là senza incontrarlo e magari... Lei è ferma, 'devi farlo'. Ma questa volta sorride, di un sorriso grande, come se sapesse, e le brillano gli occhi.
O scappo, o mi fido.
Ecco, non è così facile, per me, fidarmi; anche la mia mamma da bambino mi diceva non ti fidare delle ragazze con gli occhi di mango appena conosciute al MAO.
Così ho fatto resistenza e ho detto nonono; anche se, il mio cuore sapeva, non sarebbe durata molto, questa resistenza.
Questo viaggio, insieme al quattro dagli occhi di mango, mi poneva di fronte ad una scelta; o arroccarmi sulle mie difese, o darmi completamente, lasciarmi andare a lei senza riserve.
Così ho ceduto, e ho lasciato che la sua mano dal polso sottile mi guidasse verso il drago di sudest, ed è stato un attimo, da quando ho sentito il suo, del drago, alito caldo sui miei occhi, è stato un attimo farsi fare a brandelli dalle zampe forti, farsi stritolare in quell'abbraccio forte, farsi ingoiare nelle fauci bollenti, bagnato da umori viscidi e caldi, oscenamente impressionato da visioni di nascite infinite generate da pezzi di me, un poco alla volta sciolto di paura assoluta, impazzito di colori insopportabili, annullato.

Poi mi sono guardato intorno un po' spaurito e mi sono accorto che ero al MAO a guardare un tappeto, e altra gente mi girava intorno, e non c'erano mostri e labirinti e occhi di mango.
Beh, non ero morto, e questa è già una consolazione; però ero un po' spaesato, un po' come quando si esce dal cinema dopo un film coinvolgente ed emozionante, la realtà sembra un po' strana.
Lì, davanti al tappeto, vedevo il bordo, il labirinto, il drago di sudest; la ragazza dagli occhi di mango mi aveva spinto ad affrontarlo, ad affrontare le mie paure del sud e dell'est, del calore umano e della forza generatrice, e io le avevo superate.. forse, ma sicuramente ne avevo fatto esperienza.
Forte di questa nuova situazione, ho ricominciato a viaggiare nel tappeto; lei era lì, dove l'avevo lasciata, un po' spaventata per me, ma rassicurata dal vedermi.
Bene, mi ha detto guardando verso il centro del tappeto, ora possiamo andare nel Kunlun; E chessarà mai? ho guardato anch'io verso il centro del tappeto, ma di lì, vedevo solo montagne e non capivo.

Per un momento un gruppo di persone mi copre la visuale e perdo la vista del tappeto. Mi guardo intorno e vedo scritto:

" Ai confini dell'universo conosciuto, seguendo la direzione del sole che tramonta, a Nord-Ovest, si apre il passaggio verso il cielo. Là si elevano i mitici monti. Chi vuole accedere al Cielo deve passare per il Kunlun...
Il Kunlun con i suoi baluardi di giada ed i suoi terrazzamenti, i suoi giardini sospesi, la sua flora e la sua fauna, le sorgenti dalle proprietà meravigliose, è un luogo di soggiorno per gli immortali e il regno della Madre Regina d'occidente, Xi Wangmu. La vita del Cielo e della Terra vi risplende: sole e luna lo illuminano di una luce pura, cereali di una grandezza straordinaria vi crescono, il cui aroma attira due gru.."

Due gru? Baluardi di Giada? Cos'è questa cosa, cos'è questo sentimento che nasce forte, dentro?

Il gruppo di persone si sposta, ed è come ritornare in vita.
Cerco la ragazza, ma non la trovo.
Davanti a me, un panorama immenso, un panorama di giada, monti, valli e, in mezzo, il palazzo imperiale; sontuoso svetta nell'aria, maestoso.


E' il mio centro, l'immagine di me, mi riempie e mi affascina; guardo ogni particolare, ogni segno, ogni nodo, ogni cosa racconta di me. Come, ormai, so fare, dal particolare mi allargo per una visione di insieme più completa.
Ed è proprio lì, proprio in quel momento che nel punto più alto della visione vedo, riflesso, il palazzo imperiale; appare prima il tetto, poi i piani, poi la base; ed ogni piccolo particolare viene riflesso e, questa volta, appare simile, ma diverso, a quello che vedevo prima; dà un senso completo alla visione, ne spiega il significato.



Allargo la visione e mi inonda un senso di serenità e completezza; tra i due palazzi riflessi cominciano a volteggiare lente, lentissime due gru, con il loro battito di ali tranquillo e lunghissimo, dominando l'aria in un equilibrio circolare, armonico.
Ed è solo tra il volo delle gru, proprio lì in mezzo al cielo che vedo apparire, prima piano, poi più chiaramente, due occhi forti, potenti, dall'iride dei colori del mango; di nuovo mi sciolgo, questa volta di gioia, assaporo questa visione vivendola.

Mi sento leggero, mi guardo intorno, i visitatori del museo, il tempo e il luogo, hanno perso senso.
Sono ancora completamente perso nei nodi della storia, nelle gru che volano intorno al palazzo imperiale; sono seduto su una piccola panca, di fronte al tappeto.

Ed è solo in questo preciso istante  che mi accorgo  che a fianco a me, rivolta in senso opposto, c'è la ragazza dagli occhi del colore di frutta.

Non so come, il mio braccio cinge delicatamente il suo ventre, il suo cinge il mio, in un disegno che si fonde con il simbolo del tao, e con le gru che volteggiano sul palazzo imperiale, imitandone il percorso.
Mi rendo conto che tutto ciò è impossibile, irreale, bellissimo.

Alzo gli occhi sui suoi, li alza intensi sui miei, e con una dolcezza velata da un piccolo dolore mi dice:

"tutto ciò è impossibile, irreale e bellissimo;
quando vorrai, da me potrai avere questo.
Null'altro".




Non capisco, non capisco quello che dice; o meglio capisco le parole, non il senso.

Null'altro? Di cosa?

Com'è stato possibile che questi occhi che mi si sono ribaltati addosso all'ingresso possano essere entrati in me, nel tappeto, nella storia, com'è possibile che siano così attenti a me, cos'ho fatto, cos'hanno fatto per inserirsi in questo vortice di sensazioni tra il reale e il fantastico, tra il mistico e il logico, in quella terra di nessuno dove non siamo più fisici nè spirito, in quel territorio che intuiamo dietro le palpebre al momento di addormentarci, o al mattino ebbri di sogni, che inseguiamo respirando forte dal naso mentre si perde ad onde, sempre più effimere, sempre più profumate?

La guardo negli occhi, ma la risposta non me la danno; mi fissano intensi, corredo di un sorriso accennato e sicuro, e, solo guardando bene, si vede che nascondono ai margini un piccolo, invisibile dolore; ma, anche questa, è un'altra storia.

La mia mente gira, piano, intorno ai suoi occhi e mi accorgo appena di essere ancora in quella posizione; la sua mano si appoggia appena appena sopra l'ombelico, così la mia su di lei, come se con quel gesto mi sorreggesse e m'invitasse a farlo con lei; mi tornano alla mente le immagini delle statue dei piani superiori, con la mano del l'illuminato che sembra reggere l'ombelico, come se li ci fosse la persona intera. I nostri gesti sono leggeri, sottili, appena accennati; nessuno se ne sta accorgendo, sembriamo due persone vicine con le braccia distrattamente appoggiate in grembo che sorreggono i pensieri l'un l'altro.

Sono pieno di domande; cosa vuol dire "null'altro", cosa vuol dire "da me potrai avere questo", chi sei, perchè sei con me in questa avventura? Conscio di non poter pronunciare queste domande, il solo parlare romperebbe questo stato di levità, le presento la domanda con gli occhi, un lieve inarcare le sopracciglia in modo interrogativo. Ed è lei a parlare.

"Ti ho visto entrare dai bordi, ti ho visto attento alle saggezze dei tappeti; da tempi lontani aspetto un viaggiatore, così ti ho seguito, e accompagnato in questo primo viaggio. Prima ti ho osservato da lontano, poi ti ho seguito da vicino, infine ti sono stata accanto, aiutandoti; pensavo di osservarti, per vedere dove saresti arrivato, invece poco alla volta mi sono persa nella tua voglia di scoprire, nella tua curiosità del profondo, nei tuoi occhi, ho cominciato ad allineare le mie sensazioni alle tue, a viverle, a respirarle, fino a quando ho perso il confine per capire dove finisco io e cominci tu; in quel momento mi sono seduta al tuo fianco cingendoti il ventre e tu, come se lo sapessi da sempre, hai fatto altrettanto".

Il primo istinto è stato scappo via lontano subito oggessummmaria questa è pazza e io non sto molto bene. Deve averlo capito, ha sorriso e volto lo sguardo verso il tappeto. L'ho fatto anch'io e questa volta, riimmergendomi in quel mondo, sono stato immediatamente inondato da quello che vedevo. Davanti avevo uno specchio d'acqua, che in realtà sembrava a mezz'aria; animali si dissetavano ai bordi e, oltre, un panorama di monti dolci e degradanti, valli, acque che scorrevano quiete o che formavano luminose cascate dal rumore perso nella lontananza. Non riuscivo a distogliermi da quella visione; la vista periferica mi faceva intuire la vicinanza degli occhi di mango verso  me, l'accostare le sue labbra al mio orecchio, a pronunciare piano:


"...si dice che lo stagno del monte Kunlun sia di acqua limpida, e vi scaturisca una fonte, tiepida e mai turbata dal vento: è dove gli uccelli del cielo ed i cento quadrupedi si riuniscono per dissetarsi. E' il luogo che gli antichi sovrani chiamano il Giardino Sospeso..."

E' diventato insopportabile, ad un certo punto, immergersi oltre; infinita la sensazione di pace ed equilibrio, troppo per un essere umano, troppo per me. Troppe domande mi assillavano; avevo paura di cadere in una specie di stato catatonico, di farmi sopraffare come una droga da queste sensazioni, di perdere il controllo di me stesso; in un sussulto di autocoscienza mi sono fermato, ho abbassato lo sguardo, l'ho alzato su di lei, l'ho interrogata. Cos'è che stiamo facendo, cos'è questa visione, cos'è questo posto.


"Kunlun è il suo nome, lì risiedono gli immortali, che possono scendere tra di noi e risalirci. Nove piani li separano da noi, con guardiani e mostri ai loro cancelli che ostacolano il cammino. Per affrontarli bisogna essere perfettamente puri, oppure abbastanza leggeri per sorvolarli; così hanno fatto gli immortali. Qui si ristaura la condizione prima del prima della distinzione degli spazi e dei tempi e da qui si può partire per luoghi dove viene abolita la dualità, sentita come una separazione, che obbliga sempre a delle unioni effimere, come la nostra, per entrarci, e per assicurare la continuità del vivente".

La "nostra unione"? Cioè io e te occhidimango? Questa la prima cosa che mi colpisce e mi affascina. Siamo uniti? Ti conosco da mezz'ora, dolce cinesina dagli occhi a mandorla e quindi di frutta a prescindere, e tu mi parli di storie che si vivono in luoghi mistici percorribili dentro tappeti e pensi pure che io ci creda? Ma cosa m'hai fatto prendere?

Mi guarda, sorride, e fa quattro gesti, in una sorta di danza ipnotica, guardandomi fisso negli occhi. Prima mi poggia il dito indice appena sopra alla radice degli occhi. Poi lo porta verticale sul naso e sulle labbra, facendo il segno del silenzio: fai tacere la tua mente. Poi porta la mano aperta sul cuore, poi l'indice sull'orecchio. Ascolta il cuore.

Abbasso gli occhi, qualcosa ho capito. Li alzo sul tappeto; non vedo più il Kunlun, vedo il tappeto; e lo ringrazio, ringrazio chi l'ha disegnato, chi l'ha tessuto, chi l'ha portato qui davanti a me. Rimango un po' a fissarlo, percepisco un'assenza; non ho bisogno di guardare, so che lei non c'è più di fianco a me; forse non c'è mai stata.

Forse, proprio per questo, è reale; a volte quelle che chiamiamo fantasie sono molto più forti e potenti di quelle che, per pigrizia, chiamiamo realtà.

Esco dal MAO, l'aria fredda di febbraio mi ferisce e rinfresca, un misto di dolore e piacere. Mi rintano nella caffetteria si Palazzo Reale, un caffè e un dolcino. "Vuole quelli orientali, coi bigliettini?" Perchè no, la giornata è adatta. Srotolo il bigliettino, leggo, sorrido e capisco che la realtà ha molte più facce di quella unica che le attribuiamo.

"Parlo, ascolto. Parli, ascolti. Non so dove finisco io e cominci tu".

 



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